Continua in Francia la campagna di sensibilizzazione e denuncia della pratica dei matrimoni forzati e delle spose bambine. E come già avvenuto l’anno scorso, strane omissioni e reticenze la rendono poco credibile.
RIFERIMENTI AL CRISTIANESIMO. L’anno scorso era stato pubblicato il cortometraggio #14millionscreams, “14 milioni di grida”, interpretato da Julie Gayet, attrice nota per la sua relazione “segreta” con il presidente della Repubblica François Hollande. Il video aveva fatto molto discutere perché era stato infarcito di riferimenti alla religione cattolica e alla classe media francese, come se i matrimoni forzati delle bambine fossero un problema diffuso nella tradizione cristiana e francese occidentale. Al contrario, questo dramma è diffuso soprattutto in Africa e in Asia, appartenendo soprattutto alla cultura di alcuni paesi a maggioranza islamica.
«STOP AL MATRIMONIO FORZATO». Ora in Francia è partita la campagna di Voix de femmes: “#StopMariageForcé”. Sui cartelloni diffusi su internet e nel paese, patrocinati dallo Stato, si vede una tipica famiglia francese con diversi slogan: “È la mia vita, sono io che scelgo”, oppure “No alle pressioni, nostra figlia sceglierà”.
DETTAGLI IMPORTANTI. Tutto fa intendere che il problema sia insito e diffuso nella cultura occidentale, ma quando si vanno a leggere le storie raccolte da Libération e fornite da Voix de femmes, si scopre che tutte le ragazze sono francesi, ma originarie di paesi come Senegal e Algeria (dove la popolazione è musulmana rispettivamente al 92 e 95 per cento). Inoltre, nonostante non venga mai detto e i nomi siano fittizi per proteggere la privacy delle ragazze, si intuisce che tutti i casi riguardano ragazze musulmane che le famiglie cercano di sposare a forza a cugini o amici che, in alcuni casi, hanno già altre mogli.
STIGMATIZZARE È IMPORTANTE. L’identità religiosa però non viene mai citata, forse per non offendere nessuno. Eppure la stessa Sarah Jamaa, direttrice di Voix de femmes, afferma: «La lotta contro il matrimonio forzato è ostacolata da un ritorno del relativismo culturale. Spesso, gli educatori hanno paura di stigmatizzare, dicono che questo farà aumentare il razzismo. Hanno l’idea che siccome qualcosa è culturale, allora non lo si può cambiare». Perché allora non dire dove è radicato il problema? Perché nasconderne la vera radice dietro cartelloni che ritraggono una comunissima famiglia occidentale? Perché non citare esplicitamente quali sono le culture dove il fenomeno del matrimonio forzato si annida? Domande che resteranno senza risposta.