Shale gas, una «rivoluzione energetica» che potrebbe essere per tutti, ma che appartiene ancora a pochi. Di certo non all’Europa. Infatti, anche se il gas naturale, o gas di scisto, che si trova intrappolato in particolari rocce argillose (gli scisti appunto) a migliaia di metri sottoterra, si trova praticamente «ovunque, dalla Cina all’Africa», perfino «in alcuni Paesi europei», fino ad ora solo gli Stati Uniti d’America sono riusciti a sfruttarne le potenzialità. «Solo gli Stati Uniti – scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera – sono in grado di trarre vantaggi significativi da questa rivoluzione».
IL SUCCESSO DEL FRACKING. L’«impennata della produzione di gas e petrolio dovuta» alla tecnica del fracking, inventata da George Mitchell, grazie alla quale sono estratti gli idrocarburi imprigionati negli strati rocciosi, «è appena all’inizio» anche negli Stati Uniti, ricorda Gaggi, «ma l’impatto economico è già impressionante». «Negli ultimi otto anni – spiega la firma del Corriere – il prezzo del gas per usi industriali negli Usa è più che dimezzato, mentre in Europa è cresciuto (anche per vincoli amministrativi e politiche energetiche sbagliate) del 64 per cento».
ELETTRICITÀ E GAS COSTANO MENO. Il risultato è che oggi «in Europa il gas ha un prezzo medio che è pari a tre volte e mezzo quello Usa. Mentre in America l’energia elettrica costa la metà rispetto all’area Ue». Senza considerare che «la rivoluzione innescata da Mitchell ha già fatto crescere la produzione Usa di gas di un terzo». E pensare che, secondo Daniel Yergin, il grande storico dell’industria petrolifera mondiale, «siamo solo all’inizio. (…) Gli sviluppi saranno straordinari». Oltretutto «le preoccupazioni ambientali, in alcuni casi giustificate, vanno viste alla luce dello straordinario calo dei livelli di Co2 negli Usa degli ultimi dieci anni, dovuti anche alla sostituzione del carbone delle centrali elettriche col gas, molto meno inquinante».
L’EUROPA DOVE SI È FERMATA? «Le conseguenze economiche e sociali di tutto ciò – prosegue Gaggi – «sono enormi per gli Stati Uniti: oltre a quello diretto (…) c’è l’impatto economico indiretto del rilancio di tutte le industrie ad alto consumo di energia». Gli Usa, infatti, «stanno già registrando un nuovo boom delle industrie chimiche, siderurgiche e dei settori manifatturieri “energy intensive”, mentre l’Europa, che cerca faticosamente di uscire dalla recessione, non dispone di nulla di simile». Anzi, peggio: il Vecchio Continente «rischia di perdere molte produzioni a favore degli Usa: il gruppo Arcelor-Mittal, ad esempio, sta già trasferendo alcune sue produzioni siderurgiche dalla Ue all’Ohio».
PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. Secondo le analisi di «Ihs Global Insight questa rivoluzione energetica e le sue conseguenze sul sistema industriale produrranno, da qui al 2020, oltre 3 milioni di nuovi posti di lavoro e un incremento del Pil americano di 468 miliardi di dollari». «Se l’Europa non reagisce – commenta il presidente dell’Eni Giuseppe Recchi – perderà inesorabilmente capacità di competere». Anche l’ad di Eni Paolo Scaroni si è recentemente pronunciato sullo shale gas: «La Russia può essere il nostro Texas», ha detto.