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Formigoni: ultima chiamata per il Pdl

Il presidente di Regione Lombardia Roberto Formigoni boccia Tremonti e chiede a Roma interventi per la crescita: «Riforma fiscale pro-famiglie e più poteri alle regioni virtuose». E di Alfano dice: «Angelino è ok, ma a casa i mandarini conservatori e primarie per tutti». Pubblichiamo in anteprima l'intervista realizzata dal direttore Luigi Amicone, che uscirà sul numero 34 di Tempi

Luigi Amicone
22/08/2011 - 9:27
Interni
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Pubblichiamo in anteprima l’intervista al presidente di Regione Lombardia Roberto Formigoni, realizzata dal direttore di Tempi Luigi Amicone, che uscirà sul numero 34 del settimanale.

Mai visto un Roberto Formigoni così in forma, così deciso. Completo scuro, camicia ammodo (niente a che vedere con lo sgargiante look arancio e pervinca degli ultimi mesi), con dentro un fisico asciutto e l’adrenalina a mille. È quasi vigilia di Ferragosto. Ma al 35° piano della torre presidenziale si capisce che c’è già ardore di pugna settembrina. «È in questione il destino di un grande partito di popolo abbandonato dal proprio popolo. O si va a primarie rapidamente, come indicato dallo stesso Angelino Alfano, o si va al funerale del Pdl». E così, mentre il suo omologo di Puglia, ambizioso di premiership a sinistra, propone «una grande manifestazione dei movimenti contro la crisi» (cosa che, ammettiamolo, somiglia alla proposta di uno sciopero della fame per combattere la carestia), prima di «abbracciare tutti i musulmani» (come Nichi Vendola disse in una sua sfortunata uscita in piazza Duomo a Milano, all’indomani del trionfo degli arancioni di Pisapia), Formigoni punta anzitutto e più cautamente alla rifondazione del (suo) partito di (incerta) maggioranza relativa.

Come? Con una rivoluzione d’ottobre che azzeri gli attuali vertici di partito ed elevi sugli scudi nuovi leader. «In un bagno di popolo». Il 26 agosto sarà a Rimini per istruire Rete Italia, strumento di collegamento di militanti ed eletti Pdl nelle amministrazioni locali. Intanto, fresco di nomina Expo (commissario in tandem con Giuliano Pisapia, «col sindaco la collaborazione istituzionale è eccellente») il governatore esamina i riflessi della crisi nel suo territorio e i nuovi sacrifici richiesti in aggiunta a una manovra economica per la quale il governo ha deciso di accorciare i tempi e i già cortissimi cordoni di spesa. Il presidente lombardo non si pronuncia sui provvedimenti richiesti dalla Bce e sul decreto varato in fretta e furia dal governo, ma ribadisce le sue perplessità rispetto all’impianto dell’ultima Finanziaria.

Non ripetere l’errore di Tremonti. «La manovra di luglio tanto era necessaria nei totali, 50-55 miliardi, quelli che sono, tanto avrebbe dovuto trovare un’altra formulazione. Quei soldi andavano reperiti in maniera diversa dalla semplice sommatoria di numeri. Non i famigerati tagli lineari occorrevano – o per lo meno non solo quelli – ma provvedimenti sviluppisti. Al limite si potevano (e si dovranno, probabilmente) chiedere agli italiani altri sacrifici. Il problema è la qualità dei provvedimenti che, mi spiace, in questa Finanziaria non si vede. Perché, alla fine, chi paga il conto sono di nuovo e sempre i ceti medi, le famiglie, le piccole imprese. Cioè il nerbo della società. È su questo punto che mi aspetto uno scatto da parte del governo. A cominciare dalla riforma fiscale, mi auguro che Berlusconi sappia recuperare incentivi per famiglie e piccole imprese. A sostegno cioè di chi mantiene la coesione sociale ed è in prima linea nella difesa di quelle condizioni minime di sopravvivenza – educazione, assistenza, lavoro – nell’imperversare di questa durissima congiuntura. Non si tratta di assistenzialismo o, come dicono, di recuperare risorse che non ci sono. Si tratta di investire sui principali fattori di una possibile ripresa. La forza dell’Italia sono, ripeto, le famiglie e le imprese. Se vuoi tornare a crescere devi investire su di loro. Se dai loro “uno” ti ritorneranno “dieci”. E poi basta gravare sulle spalle di enti locali e regioni. Non è stato sensato chiederci il 50 per cento dei tagli di spesa quando le regioni pesano per il 16 per cento sulla spesa pubblica nazionale. Non è sensato chiederci altri tagli».

Senza sussidiarietà non si vince. Con tutto ciò la Lombardia sembra soffrire meno del resto d’Italia. «Sì, certo, merito della forza del sistema lombardo e, me lo lasci dire, di questi sedici anni di buon governo che hanno dato riforme e coesione al nostro tessuto sociale e produttivo: la struttura economica, amministrativa, politicamente riformista della Lombardia è oggi molto più simile a quella di un grande Land tedesco piuttosto che a quella di una qualsiasi altra regione italiana». In effetti Formigoni governa un territorio che merita in toto l’appellativo di “locomotiva”. Due dati per tutti: la Lombardia è in cima alle classifiche europee (fa meglio della Germania) sia per la più bassa percentuale di evasione fiscale, sia per la minore spesa pubblica in rapporto al Pil. «E questo grazie all’azione del governo regionale che da sedici anni lavora cercando la sintonia, attraverso il dialogo e il confronto permanente, con il mondo economico e sociale. E sottolineo il “permanente”. Perché un governo serio, sia esso di una regione o di uno Stato, è un governo che cerca come il pane il confronto con le parti sociali. Questa è una delle principali innovazioni della Lombardia. Se n’è parlato poco, ma è uno dei motivi del nostro successo. L’abbiamo chiamato “patto per lo sviluppo” e sono ormai quindici anni che lo applichiamo come metodo di governo. È dal 1997 – quando la crisi era di là da venire e anzi si era in pieno ottimismo da boom economico, la famosa “bolla internet” – che ci sediamo al tavolo con i rappresentanti di tutte le categorie, dall’industria al sindacato, dalle cooperative ai movimenti, dalle università ai centri di cultura. Sto parlando di 73 sigle che rappresentano il nerbo sociale, economico, culturale e civile della società lombarda. È un patto che in questi sedici anni è stato costantemente alimentato e che ci consente oggi di continuare a raccogliere in modo convinto e sistematico idee da cui poi scaturiscono le principali leggi regionali. Con le parti sociali noi discutiamo da sempre dei nostri bilanci e dei principali investimenti e progetti, ascoltiamo e ci confrontiamo. Dopodiché, è chiaro che siamo noi politici, eletti e rappresentanti del popolo, ad assumerci la responsabilità e le decisioni. Non è concertazionismo, né consociativismo il nostro. È di più, è partenariato, è sus-si-dia-rie-tà!». Si capisce perché le scintille passate e presenti tra Formigoni e Tremonti nulla hanno a che vedere con questioni di personalismo politico. «Il problema è che un sistema così, questa locomotiva, ha bisogno e perciò chiede, pretende, esige, una maggiore autonomia. Vogliamo più poteri per far crescere e trainare l’Italia». Un esempio? «Il nostro rating è superiore a quello dell’Italia, ma inferiore a quello delle province di Trento e Bolzano, realtà che sono un centesimo di Regione Lombardia. Qual è il motivo per cui quelle due province hanno un rating più alto del nostro? Perché godono di un’autonomia fiscale vera. La Lombardia no. Dopo tanti discorsi sul federalismo e sulla sussidiarietà, proprio la Lombardia, proprio la regione da cui è partita l’innovazione federalista e sussidiaria, non ha ancora ottenuto un regime di vera autonomia fiscale e dunque non può competere come dovrebbe. Perciò, anche qui, dico che tra le misure urgenti da fare per affrontare la crisi è venuto il momento che il governo decida finalmente di dare più poteri alle regioni che dimostrano di saperli utilizzare». Un bel cahier de doleances per il “suo” governo. Ma non parlategli di voto anticipato («sarebbe da irresponsabili in questa fase di crisi, sarebbe come invitare gli speculatori a scorticarci vivi e davvero l’Europa ci commissarierebbe!») o dell’operazione Repubblica-Corriere della Sera di cambiare il governo senza passare dalle urne sostituendo Silvio Berlusconi con Giorgio Napolitano o con Mario Monti.

I governi tecnici sono un inganno. Alla richiesta di “governo del presidente” (Repubblica) o di “governo tecnico” (Corriere, richiesta poi ritirata in un fondo del 10 agosto del direttore Ferruccio De Bortoli), Roberto Formigoni risponde così: «Le stesse espressioni di “governo tecnico” o “governo del presidente” sono un inganno. In democrazia i governi si formano nei parlamenti legittimati dal voto popolare. Di qui non si scappa: un esecutivo sta in piedi perché ha una maggioranza politica. E poi gli italiani ricordano bene i cosiddetti “tecnici” al governo negli anni ’92 e ’93, quelli che hanno calato la scure e messo le mani nei conti bancari dei contribuenti». Detto ciò, anche se Formigoni non butta addosso la croce al premier e non ritiene come dice l’opposizione che il governo abbia nascosto la crisi («Non sono uno sciocco, né un demagogo da tre soldi, guardiamoci intorno: hanno tagliato il rating agli Stati Uniti, è venuta giù Wall Street, l’economia mondiale è in affanno, come si fa a dare la colpa a Berlusconi?»), ammette che «di qui al 2013 il governo può e deve fare di più, nel senso ricordato sopra: dando cioè più poteri alle regioni virtuose e con provvedimenti sviluppisti come il fisco a misura di “fattore famiglia” e “riforma del lavoro” per le imprese».

Gli elettori si sentono traditi. È a questo punto che si prospetta la rivoluzione d’autunno nel Pdl e, per il 2013, il pensionamento di Berlusconi premier. Formigoni scenderà in lizza per la corsa a Palazzo Chigi? «Il problema non è Formigoni, il problema è il Pdl». E la premessa analitica del presidente lombardo è la seguente. «Abbiamo subito un duplice ko: referendum e amministrative. Sconfitte nette e molto più gravi di tutte le precedenti, perché non è stato l’avversario politico a vincere ma il nostro elettorato a voltarci le spalle. “Cari amici, sapete qual è la novità?”, ci hanno detto gli elettori del ceto moderato, “non-ne-possiamo-più! Ci avete promesso la riforma fiscale, il quoziente familiare, il sostegno alla piccola e media impresa. Ebbene? Avete fatto esattamente l’opposto. Ci avete tradito”. Ecco tutto. Abbiamo perso perché ci hanno voltato le spalle le casalinghe, le partite Iva, i piccoli imprenditori, i commercianti, gli artigiani. E perché ci hanno voltato le spalle? Perché le manovre economiche di questi anni hanno picchiato quasi esclusivamente nella direzione di questi ceti. Hanno picchiato contro i nostri elettori. E quindi giustamente loro ci hanno detto “basta, adesso non ci prendete più in giro”». La ferale diagnosi formigoniana non si ferma qui. Infatti, «seconda caratteristica che fa della duplice sconfitta un tracollo epocale: siamo stati puniti dai nostri militanti, anche loro ci han detto che non ne possono più. Lei sa che da quando è stato fondato il Pdl non è stato fatto un solo congresso, anche solo rionale? E noi saremmo il partito che si ispira al Partito popolare europeo? Ma per carità! In tre anni e mezzo non siamo nemmeno stati capaci di fare un congresso e, ciononostante, abbiamo chiesto ai nostri militanti di darsi da fare. Li abbiamo trattati da manovalanza e così anche loro adesso sono in fuga». Quadro sconsolante. E come la mette Roberto Formigoni con l’amico Silvio Berlusconi? «Gli ho semplicemente ricordato la verità. E la verità è che peggio di così c’è solo il funerale del Pdl». Nella sua lettera aperta agli elettori, il neo segretario Angelino Alfano ha parlato di election day e chiesto consigli. Quali sono i consigli di Formigoni?

Primarie a ottobre, dimissioni ora. «Premesso che nominare un segretario politico – e sottolineo l’aggettivo, “politico” –nella figura di Angelino Alfano è stata una scelta giusta, perché ha dato il segno di un passaggio vero dal partito monocratico al partito tout court, il quale sostiene sì il “suo” esecutivo ma al tempo stesso non si identifica con esso, ora dobbiamo trarre al più presto le conseguenze di questa svolta. Tutto cambia. Sono stato io per primo a parlare di primarie a tutti i livelli, perché primarie significa l’irruzione di una forza rinnovatrice senza eguali. Ed è questo il momento di farle, di mettersi tutti in discussione e di rimettere tutti idealmente il nostro mandato. Non sto ovviamente parlando del mandato elettorale. Sto parlando di stellette e gerarchie nel partito. Subito l’azzeramento dei coordinatori e, a ottobre, un bagno di democrazia con l’elezione diretta dei segretari politici cittadini, provinciali e regionali».

Insiste, Formigoni. «Il momento è drammatico, la gente ci ha tolto il consenso e i militanti ci abbandonano. Perciò, smettiamola di raccontarci favole sui congressi e diamo finalmente tutto il potere al popolo. Lo dico ad Alfano: coraggio, non  lasciarti intimorire, so bene che in pubblico nessuno osa contraddirti ma in privato sono tanti a lavorare contro questo sbocco popolare alla crisi del partito. Bene, ai mandarini della conservazione devi dire “no” e “no” dobbiamo dire tutti insieme». E per il prossimo candidato alla presidenza del Consiglio, stesso metodo. «Berlusconi ha già lasciato intendere che non si ricandiderà. Dopodiché, fatte le primarie, come partito troveremo le modalità migliori per scegliere il candidato premier più adeguato, tenendo conto anche delle nuove alleanze che, insieme alla Lega, dobbiamo costruire. Chiaro che anche per il candidato a Palazzo Chigi il metodo aureo rimane quello delle primarie. Non vogliamo chiamarle “primarie”? Benissimo, chiamiamole “consultazioni popolari”. Ma facciamole e facciamole in fretta. O addio Popolo della libertà».

Tags: InterniintervistaLuigi AmiconePDLprimarieRoberto Formigonitempi
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