Finsbury Park. La guerra santa di chi non ha santi a cui votarsi
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Valgono per l’attentato di Finsbury Park, l’uomo bianco e cristiano che ha paura degli islamici e li retribuisce con la loro stessa moneta, le leggi ovvie del mimetismo animale, aggravate dalla particolare bestialità perversa del comportamento umano. Non c’è giustizia, nemmeno nelle intenzioni del conducente del furgoncino della morte. Ciò che è sacro per “loro”, il Ramadan, la preghiera in moschea, la comunità di insediamento nell’islam d’occidente, deve essere dissacrato in nome del terrore che afferra “noi” davanti alla sequela delle stragi di matrice jihadista. Non c’è rivendicazione, appartenenza terroristica. Non c’è una umma cristiana, un jihad cristiano.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]La reazione immediata di parte bianca è la perizia psichiatrica, il gesto assassino non trova altra motivazione apparente che una infinita patologica paura, la volontà di vendetta, l’inversione simbolica del meccanismo cosiddetto del lupo solitario. Ma la paura non è psichiatrizzabile oltre un certo limite, diventa il sostituto di qualcosa che non c’è attraverso la corsa stragista di un camion che vendica Nizza o il London Bridge o Manchester assumendo la stessa logica di annientamento a caso contro civili incolpevoli in una guerra non dichiarata.
E invece di guardare il movimento di sostituzione, che risulta in un miserabile comportamento imitativo, magari psicologizzandolo come Ersatz, dovremmo guardare a quel che non c’è. Perché nonostante il lavoro dei servizi antiterrorismo, nonostante le candele votive dopo gli attentati, i concerti ripetuti e autocelebrativi, nonostante i bombardamenti a Mosul e a Raqqa, i combattimenti con la loro eco lontana e perfino non percepita, nonostante tutto l’impressione è che non facciamo nulla di serio per contrastare morte e paura per mano jihadista.
Dopo Ratisbona
La constatazione di impotenza, che chiama il rovesciamento speculare della logica di guerra dell’islam combattente, riguarda tutto e tutti. Non c’è una chiesa che rassicuri e definisca e chiarisca, immersi come siamo nell’equivoco iniziatosi con la disastrosa gestione del dopo Ratisbona: un Papa che dice la verità costretto dal protocollo del dialogo interreligioso a autosospendere il significato esplicito e chiarissimo delle sue stesse parole accademiche, facendosi umiliare dai nuovi padroni della storia. Lo stato a volte assume un vocabolario di concisa durezza, ma è solo per precipitare immediatamente dopo nell’equivoco multiculturale e multicultuale dell’occidente. La gente comune, che trova sempre un suo idolo folle per esprimere l’estremo disagio, il tormento del sentirsi sotto assedio, si sente lasciata sola, abbandonata a una catena di eventi che piano piano assume per sé il crisma della necessità, dell’inevitabilità, dunque della tragicità. E qui alligna il pericolo dello scambio emotivo criminale, il terrorismo a parti rovesciate. Che ha una sua forza perfino biblica: se non sono io per me, chi sarà per me?
A Finsbury Park
Il mondo dei fatti non è governato. Non c’è autorità né sanzione, non c’è una riconoscibile strategia come via d’uscita da un fenomeno ancora largamente ignoto, nel senso che non è riconosciuto. Gran parte del nostro mondo è estranea per distanza dalla matrice dei fatti. Ma Londra piano piano, in quest’atmosfera di incredibile “cupezza” che perfino Sua Maestà Elisabetta II ha richiamato, riduce la distanza, si vede sventrata ripetutamente dal terrorismo, e alla fine produce la reazione dell’assurdo, ma con un movimento che non ha niente dell’assurdo. Finsbury Park: bisogna tornare alla mappa dell’insediamento sentito come invasivo e della nomea di estremismo jihadista dispiegato, e bisogna tornare all’idea di moschea non come luogo di culto ma di organizzazione e guerra ideologica e religiosa.
Ecco la soluzione del mistero di iniquità senza precedenti: reagire all’intimidazione permanente con una minaccia esemplare, troncare di netto con la regola di umanità e di convivenza civile fino ad ora affermata in un torrente di parole esauste, e colpire, colpire duro, con gli stessi mezzi, nei luoghi critici della formazione del delitto contro la comunità assediata che non ha nome né cultura né identità. Un segnale di contrattacco smisuratamente folle, con i mezzi ordinari dell’immagine in movimento, quella che sarà captata e drammaticamente rilanciata dai media: un camion, i passanti investiti e uccisi, la morte dei fedeli tra grida islamofobiche all’uscita da un raduno del Ramadan. È la guerra santa di chi non ha più a che santo votarsi.
Foto Ansa/Ap
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