Fate scuole!

Di Luca De Simoni
19 Giugno 2019
Appello perché nascano (o crescano) tante scuole, libere e pubbliche, potenziando lo strumento della detrazione fiscale

Il nostro Paese sembra fare di tutto per scoraggiare chi fa scuola: gli insegnanti sono pagati poco, assunti dopo un calvario di supplenze e precariato, abilitati dopo laurea triennale, laurea specialistica, crediti formativi, concorsi oceanici, avvilenti corsi speciali e pseudo tirocini.

I presidi, ovvero coloro a cui dovrebbe essere affidata la gestione del singolo istituto, sono selezionati attraverso concorsi che vengono spesso annullati e ritardati da ricorsi e pastoie amministrative; quando entrano in ruolo viene chiesto loro di occuparsi di un numero abnorme di classi, istituti, docenti; non possono scegliersi il personale con cui lavorare – l’unica timida concessione in tal senso, presente nella legge sulla Buona Scuola, è stata abrogata su pressione dei sindacati. Da qualche settimana, poi devono entrare a scuola lasciando le impronte digitali (!) manco fossero detentori di segreti nucleari, o inguaribili assenteisti.

Di diversa natura, ma altrettanto ardui, sono i problemi di chi si trova a lavorare per far sopravvivere una scuola “paritaria”, ovvero una scuola pubblica realizzata da enti religiosi, realtà imprenditoriali o, sempre più spesso, cooperative di genitori che decidono di dedicare tempo ed energie per mettere in piedi un’opera educativa capace di offrire un progetto educativo unitario, con specificità metodologiche, valori condivisi, che intende trasmettere alle future generazioni, a partire dai propri figli.

Questi devono fare i conti con la crisi demografica, con la difficoltà crescente (a volte l’impossibilità) a trovare insegnanti abilitati, con finanziamenti pubblici che arrivano a singhiozzo e, in ogni caso, largamente insufficienti a coprire i costi della scuola; con la necessità di chiedere contributi e rette di iscrizione a famiglie già dissanguate da un fisco spesso punitivo con chi decide di fare figli.

Nonostante queste premesse, basta frequentare scuole e licei del nostro Paese per riscontrare un crescente bisogno di partecipare all’educazione dei figli: i genitori si interessano di tutto, vogliono sapere cosa succede in classe, che programma svolge la maestra o il professore, vestono spesso i panni dei “sindacalisti” dei loro figli, fanno decine di colloqui, si accaniscono in chat di classe, leggono e si scambiano articoli sull’educazione e la genitorialità (da Polito a D’Avenia, ormai supereroi dei genitori moderni). Questa “ansia di partecipazione” indica un bisogno insopprimibile di compagnia nell’affrontare quell’esperienza misteriosa e bellissima di educare i propri figli, di trasmettere loro una visione delle cose e, perché no, di essere da loro, di nuovo, educati ad aprirsi al mondo.

Da gestore di una scuola paritaria non posso far altro che testimoniare quanto entusiasmante sia contribuire alla costruzione di un’opera educativa: genitori che si mettono insieme per condividere il compito educativo verso i propri figli, per comunicare un’idea positiva della vita che hanno incontrato, per partecipare da protagonisti a quella “comunità educante” antidoto alla paura e alla solitudine. Perché è bello stare insieme e imparare dal compito che ci è stato affidato.

Fate scuole, prendete in gestione scuole, dedicate tempo e risorse (anche economiche) perché le scuole che frequentano i vostri figli funzionino, si allarghino, migliorino! Costringe a pensare al futuro, a guardare avanti, aiuta a crescere: ogni scuola che chiude è un’occasione sprecata.

Per questo sarebbe utile anche una iniziativa della politica, delle istituzioni nazionali e locali, che dovrebbero avere come obiettivo la nascita e la crescita di scuole di libera iniziativa, come indice del benessere della società. Per fare una scuola occorrono tre cose: studenti che non siano costretti a pagare cifre insostenibili per frequentarla; insegnanti bravi e preparati; edifici in grado di accogliere l’attività educativa.

Per non gravare troppo sulle famiglie, invece del costo standard (argomento di difficile attuazione: renderebbe “a pagamento” ogni scuola, statale o privata, secondo il reddito…), si potrebbe potenziare lo strumento della detrazione fiscale per spese scolastiche. Oggi vale circa 140 euro per studente: portiamolo fino a 2 mila, includendo spese per gite, mense, libri di testo e rette.

In Italia poi viviamo il paradosso che gli insegnanti più bravi non sono “abilitati”, nonostante percorsi scolastici brillanti e tanta esperienza sul campo. Il motivo? Non ci sono percorsi abilitanti da circa 10 anni… Pertanto, gli insegnanti abilitati sono in via di estinzione. La soluzione è molto semplice: si considerano abilitati tutti i giovani, laureati nella propria disciplina, che hanno maturato anche i crediti formativi necessari in materie legate all’insegnamento, e che hanno prestato servizio per due anni in scuole statali o paritarie (come supplenti). In fondo, se università e scuola non sanno formare gli insegnanti del futuro mi chiedo chi lo possa fare.

Infine penso sia molto semplice consentire a Comuni, Regioni e Stato di concedere a titolo gratuito immobili a chiunque vi realizzi un’attività educativa, nell’ambito del sistema nazionale dell’istruzione pubblica. Le cooperative che realizzano scuole risparmierebbero sugli affitti, garantendo la gestione e l’uso pubblico di immobili nella disponibilità del demanio.

In un Paese in cui non nascono scuole, o l’educazione è affidata ad un monopolio statale è a rischio la libertà e, con essa, la democrazia.

Luca De Simoni
Consigliere di amministrazione della Coop. sociale “La Zolla”

Foto Ansa

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