Paolo Borsellino, commemorando il suo amico e collega, ricordò che da quando il 19 gennaio 1988 il Csm aveva bocciato Giovanni Falcone per la nomina a capo dei giudici istruttori del tribunale di Palermo, preferendogli per motivi di anzianità Antonino Meli, «il paese, lo Stato, la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò a farlo morire».
Era il 25 giugno del 1992. Borsellino sarebbe stato ucciso a sua volta il 19 luglio in via D’Amelio. Certo, il 23 maggio 1992 a Capaci fu la mafia a uccidere Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Non c’è dubbio. Eppure la responsabilità, per lo meno dell’isolamento precedente all’uccisione, sarebbe plurima. E allora a trent’anni da quei fatti sarebbe ora di non derubricarli a episodi di una storia solo criminale. Come sarebbe ora di liberare quei fatti dalla lettura manettara, per cui a Sud la criminalità organizzata vinse e continuò a ricattare la politica e lo Stato finendo per tradire la rivol...
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