
Evviva Kolinda e la finale del "vie’ qua, fatti abbracciare"

Non ce ne frega niente della vittoria della Francia, dell’entusiasmo incontenibile di Macron e della redazione di Repubblica, qui ci interessa fare un elogio sperticato di quella bella gioia di Kolinda Grabar Kitarović, presidente della Croazia, evviva Kolinda Grabar Kitarović. È lei la rivelazione dell’altro Mondiale, lei che commossa sul 4 a 2 ancora fumigante della finale di Russia 2018 ci ha regalato il miglior antidoto alla stereotipizzazione in cui è stata ficcata obtorto collo la sua nazionale dagli sbadiglianti maître a penser del nostro tempo: pane e cipolla.
VIE’ QUA, FATTI ABBRACCIARE. «Siamo vicecampioni del mondo! Bravi, biancorossi, avete combattuto da leoni e scritto una pagina indimenticabile della storia croata»: bella, bionda, esuberante, di scacchi vestita sul terreno dello stadio Luzhniki la presidente ha ribaltato con l“a-tu-per-tu, vie’ qua, fatti abbracciare” lo schema di gioco imbastito alla vigilia di Francia-Croazia dai nostri noiosissimi giornaloni, tutti impegnati a puntellare nelle categorie dell’europeo agonizzante una partita di calcio. Ma come, non si giocava buoni contro cattivi, la multietnica Francia contro la nazionalista Croazia, civili contro incivili, calcio champagne per tutti contro calcio loza per suprematisti bianchi? E perché un mazzo di attimi dopo la consegna della coppa del mondo ai Blues sul twitter nigeriano ha iniziato ad impazzare «Retweet se vuoi l’abbraccio del presidente della Croazia #WorldCupFinal», «Voglio che qualcuno mi abbracci come la presidente della Croazia», «Abbracciatemi come il presidente croato ha abbracciato Mbappé»? Che ne è del vive la République, vive la France, vive «la vittoria del sogno degli immigrati» (copy Washington Post) se a conquistare le telecamere e i cuori del mondo antistante le redazioni e il loro circolo Pickwick è poi il capo di uno Stato che non ha schierato in campo manco un piccolo meticcio?
IL BODY LANGUAGE DELLA MASSAIA. Fiera, come fossero tutti figli suoi, Kolinda Grabar Kitarović ha abbracciato chiunque le capitasse a tiro in quello stadio, senza distinzione di sorta, nazionalità, colore della pelle e tutto in costanza della sconfitta più bruciante possa essere inflitta in una competizione sportiva: un abbraccio muscolare, un po’ capotribù, un po’ massaia, un po’ donna del reduce di guerra, la presidente croata ha davvero abbracciato chiunque le camminasse incontro riempiendo di simpatia umana una sconfitta che ci ha fatti sentire tutti a casa. Altro che la retorica tra colonizzati e colonizzatori.
I buoni hanno vinto e i cattivi hanno sovvertito il pronostico politico grazie alla dirompente caciarona informalità della presidente che è arrivata col suo body language (per usare una categoria in voga quando si parla di capi di Stato) laddove non sono riusciti ad arrivare Perisic e compagni. Hanno perso la finale di coppa del mondo, un evento unico e verosimilmente irripetibile per chi c’era in campo e per tutto il popolo croato, ma da perdenti hanno vinto l’altro mondiale, non quello morale – dio ci liberi dai vincitori morali – ma quello vero pane e cipolla, vie’ qua, fatti abbracciare.
ADIEU, DE COUBERTIN. Evviva allora Kolinda Grabar Kitarović che con i suoi hug presidenziali a casaccio ha liberato i Mondiali dal calcio politico in sé e dalla retorica del decoubertinismo applicato – e che goduria farlo proprio contro la patria di De Coubertin, dell’importante non è vincere, ma partecipare, e delle vittorie quanto mai necessarie a una «storia a lieto fine di integrazione e successo». Evviva la presidente sguarnita di tattiche e galateo, ricca di slancio informale, e “a-tu-per-tu” che inverano in una testimonianza festosa la sconfitta di un popolo piccolo e legittimamente rappresentato, dove sono tutti bianchi, autoctoni, arrivano in finale e sanno scrivere una pagina indimenticabile di storia croata. Vie’ qua, giornalista polveroso, multiculturalista e macroniano, fatti abbracciare.
Foto Ansa
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