Eugenio Corti non aderì mai alla “fede” laicista: per questo è stato snobbato

Di Andrea Sciffo
16 Febbraio 2014
I libri di Corti stanno nella stessa regione di quelli dei Tolkien, delle O’Connor, dei Grossman e dei Solženicyn ma forse non lo vedremo mai nelle antologie scolastiche

eugenio-corti-copa-tempiMentre la letteratura italiana del secondo ’900 si invischiava nelle sabbie mobili della stupidità e del pensiero malvagio, erede del fatuo D’Annunzio e pronta a recepire unicamente le direttive “einaudiane” dei Vittorini e dei Calvino, lo scrittore brianteo Eugenio Corti cresceva all’ombra della propria vocazione di “cantore del Regno” e si fortificava in sapienza e grazia. Più che l’amarezza per la fine triste toccata alla nostra letteratura, il mio cuore esulta adesso per aver conosciuto di prima mano le opere di Corti e, in contemporanea, avere incontrato lui, il soldato reduce dalla ritirata di Russia, l’autore.

La gioia viene dal fatto di avere sperimentato come anche nel ’900 sia stato possibile dedicarsi del tutto, con intelletto e amore, a lei, alla Verità dei poeti: cosa che Eugenio Corti fece per anni, da quando, ragazzino di provincia e studente di ginnasio al San Carlo di Milano, s’innamorò degli esametri epici di Omero «perché sapeva trasformare ogni cosa in bellezza». Infatti, la vera rivelazione che attende come un dono i lettori dei libri di Corti è la scoperta dell’altro ’900, quello della letteratura come gratitudine, riconoscenza e attitudine a dare voce a chi non ha voce. Simili caratteristiche furono un capo di imputazione per Corti che non aderì mai alla fede laicista, antifascista e scientista e quindi, come gli avevano profetizzato Benedetto Croce e Mario Apollonio sin dal 1947, dovette trovarsi da solo la propria strada d’artista, forgiarsi il proprio linguaggio, cercare la magra compagnia di chi dantescamente «ha fatto parte per se stesso».

La sua trilogia narrativa è composta di un diario di guerra dal titolo I più non ritornano, uscito pochi anni dopo il disastro bellico, poi c’è il colossale romanzo Il cavallo rosso, apparso nel 1983 e diffusosi in maniera esponenziale tra i lettori italiani e internazionali, e Gli ultimi soldati del re, gioiello narrativo di un giovane che attraversò l’Italia centrale a piedi, nello sfascio dell’esercito nazionale. Questi tre titoli basterebbero per appaiare Corti a Bedeschi, Fenoglio, Pavese, Rigoni Stern nelle antologie scolastiche: invece niente. Corti non c’è ancora e probabilmente non ci sarà. Nel frattempo anche i “fruitori” della letteratura sono scomparsi, malgrado escano cento best seller per volta. Nel nuovo scenario di una società liquida che cerca un nuovo linguaggio per capire il presente, i libri di Corti stanno nella stessa regione di quelli dei Tolkien, delle O’Connor, dei Grossman e dei Solženicyn: tutti testimoni di un’arte che può aprirsi il varco verso una verità da amare, di una realtà che è la storia umana senza censure.

La storia della letteratura italiana come canone di opere e autori di desanctisiana memoria non esiste più, essendo stata decostruita dai critici fautori dello strutturalismo: esiste invece l’insieme chiuso degli scrittori “che ce l’hanno fatta” a pubblicare presso un grande editore; Eugenio Corti, ovviamente, non era e non sarà tra costoro. Però le migliaia di suoi lettori sono una compagnia più feconda e che freme per raccogliere il proprio testimone e inoltrarsi nel XXI secolo: per uno scrittore-testimone che è vissuto 93 anni nella speranza di entrare nella gloria dell’altra trama, si tratta già di un bell’anticipo della ricompensa eterna.

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8 commenti

  1. Ambrogio

    Il cavallo rosso è un capolavoro, paragonabile ai promessi sposi.

    1. Giulio Dante Guerra

      Appunto, un “classico”, come ho scritto sopra. Finalmente, un altro commento in tema! Possibile che su qualunque argomento arrivi sempre la gente che non sa far altro che spostare la discussione su S.B., anche quando non c’entra un fico secco?

  2. filomena

    Non discuto il valore letterario di Corti perché onestamente ammetto la mia ignoranza rispetto alle sue opere. Ho letto però alcuni articoli da voi pubblicati sul suo pensiero politico e sul giudizio di Berlusconi come cristiano e uomo politico. Non brilla certo per coerenza rispetto ai valori cristiani che professa e difende oggettivamente un personaggio che a voler essere buonisti si può definire impresentabile politicamente ma che di fatto è un pregiudicato. Di questo dovrebbe vergognarsi.

    1. Giulio Dante Guerra

      E che c’entra Berlusconi con Corti? Forse hai visto quest’ultimo qualche volta “ospite d’onore” in qualche “talk-show” delle TV-Mediaset? No di certo, visto il loro completo allineamento al “pensiero unico”! Io, che ho letto i romanzi di Corti, posso dire che hanno tutte le caratteristiche per diventare – e, forse, nelle numerose traduzioni straniere, sono già diventati – dei “classici”. Ma la nostra grande editoria non apprezza i classici: cerca solo “aggeggi”, di cui fare acquistare, appena usciti, moltissime copie mediante una ben orchestrata campagna pubblicitaria, e poi lasciarli cadere nel dimenticatoio che si meritano, tanto i soldi si sono fatti…

    2. Lela

      Uhm, un cristiano che difende un peccatore…che incoerenza!!! 😉

      1. Giulio Dante Guerra

        Siamo tutti poveri peccatori, come quei farisei a cui Gesù disse “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, con tutto quello che segue. Circa una dozzina di secoli dopo, “senza peccato”, “puri” (in greco: “katharoi”) si ritenevano, appunto, i Catari. Chi condivide le loro dottrine e prassi eretiche lo dica chiaramente.

    3. Carlo2

      @Filomena:
      Solita doverosa premessa: spiega perché ti dovre riconoscere un’autorità morale tale da stabilire di cosa debba vergognarsi Tizio o Caio.
      Detto questo, immagino che dal tuo punto di vista, per essere coerenti con i valori cristiani sia meglio votare politici con una vita privata irreprensibile, ma che legiferano in totale opposizione ai suddetti valori.
      A me, curiosamente, sembra ancora più incoerente.
      Non per questo mi ritengo tanto superiore ad un elettore del PD da dirgli che dovrebbe vergognarsi.

  3. Filoteo

    Per non parlare degli studenti che non sono stati diplomati né laureati per motivi cattolici o, per meglio dire, per motivi economici; per non parlare dei lavoratori che pur essendo ammirati da tutta l’azienda a causa della loro fede, non faranno mai carriera per gli stessi motivi. A quanto pare laureare un alunno cattolico o fargli fare carriera nel mondo del lavoro è controproducente per i professori delle facoltà e per i dirigenti delle aziende, i quali se facessero il loro dovere si inimicherebbero i politici dai quali non riceverebbero più alcun favore economico. Tutto questo si fa (tanto per cambiare) per rubare i soldi dalle casse dello stato, perché siccome fino a questo momento questi personaggi ci hanno buttato sul lastrico (poiché hanno rubato troppo poco) allora la tendenza che c’è adesso è rubare anche quello che lo stato non ha più, affinché le condizioni degli italiani peggiorino ancora di più. Quindi diplomi e lauree facili ai furbi e ai raccomandati di provata fede laica ai quali viene fatta una domande facile da 30 con lode sul libretto, falsi sanitari a volontà, primi premi e medaglie d’oro agli incapaci e ultimi posti in classifica alle persone capaci: una roba da ricovero immediato al manicomio psichiatrico.

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