Eric Voegelin, filosofo dell’ordine e della verità

Di Carlo Marsonet
18 Maggio 2025
Il grande pensatore che pose una domanda cruciale: il totalitarismo è un nemico della modernità o piuttosto una conseguenza della modernità stessa?

Eric Voegelin (1901-1985) è stato forse uno degli ultimi autentici filosofi. Autore prolifico e certamente complesso, è ormai quasi dimenticato, e si capisce anche perché: parlare di trascendenza, verità e ordine di questi tempi è qualcosa che desta sospetto nei contemporanei. Espunto qualsiasi riferimento alla dimensione religiosa e ultraterrena dell’esistenza umana sia dal discorso accademico sia da quello pubblicistico, è evidente che ogni autore che ne tratti è considerato o un rudere intellettuale o un pericoloso conservatore. Del resto è Voegelin stesso che nota nei suoi ricordi autobiografici di essere stato apostrofato come un fascista e persino un nazionalsocialista (sic!).

Ma chi era questo filosofo tedesco naturalizzato americano? In italiano disponiamo di qualche sua gemma tradotta. Pensiamo, per esempio, alla pubblicazione in corso della monumentale opera in cinque volumi di Ordine e storia per Vita e Pensiero e con la cura di Nicoletta Scotti Muth: il terzo volume, dedicato a Platone e Aristotele, è stato tra l’altro presentato all’Istituto Bruno Leoni con gli interventi della curatrice, Sergio Belardinelli e Lorenzo Ornaghi. Ma consideriamo anche le ormai classiche traduzioni de La nuova scienza politica (Borla, con un saggio fondamentale di Augusto Del Noce sulla critica alla modernità del tedesco), Il mito del mondo nuovo (Rusconi, con introduzione di Francesco Alberoni) e, un po’ meno risalente, ma comunque di vent’anni fa, Dall’illuminismo alla rivoluzione (Gangemi, a cura di Dario Caroniti). Per un’introduzione essenziale ma esaustiva a questo grande del Novecento – corredata da un glossario finale assai utile per meglio comprenderne le argomentazioni – è ora nuovamente disponibile, in formato ebook, Eric Voegelin. The Restoration of Order di Michael P. Federici (Gateway).

Totalitarismo e modernità

Nato a Colonia, in Germania, si mosse poi con la famiglia a Vienna, dove sarebbe poi diventato allievo di Hans Kelsen e avrebbe frequentato i seminari di Ludwig von Mises. Viaggiò negli Stati Uniti e lì iniziò ad allontanarsi dall’epistemologia moderna, orientata a questioni metodologiche e relativistiche senza prendere in considerazione la realtà trascendente.

Costretto ad abbandonare l’Austria dopo l’Anschluss, Voegelin raggiunse gli Stati Uniti dove sarebbe poi rimasto a insegnare per l’intera vita, a parte qualche anno trascorso a Monaco tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. L’esperienza totalitaria lo avrebbe però segnato in maniera cruciale. Quella che andava maturando era una riflessione sul suo significato: il totalitarismo era un nemico della modernità o piuttosto una conseguenza della modernità stessa?

Alla base di questa risiede per Voegelin una pulsione gnostica: l’idea, detto brutalmente, che la salvezza dell’uomo non sia raggiungibile altrove, ma a questo mondo. Lo gnosticismo, in sostanza, non è altro che l’immanentizzazione dell’eschaton cristiano. E il totalitarismo non è che una espressione, l’espressione finale di quella presunzione di potere rifare l’uomo e costruire il paradiso in terra. Ma per Voegelin tutta la modernità è segnata da questa hybris, una rivolta contro il trascendente: l’illuminismo, il positivismo, lo scientismo sono altre manifestazioni di una tale tendenza. Manifestazioni dell’andare oltre i limiti dell’umano, sacrificando l’ordine, lo spirito e la verità sull’altare di idoli terreni: «La morte dello spirito è il prezzo del progresso».

Temporale e spirituale

Scrive Voegelin ne La nuova scienza politica:

«La speculazione gnostica superò l’incertezza della fede mediante un ripiegamento della trascendenza e conferendo all’uomo e alla sua azione intramondana un significato di compimento escatologico. A mano a mano che questo processo di immanentizzazione progrediva sul piano dell’esperienza, l’attività di civilizzazione si trasformò in uno sforzo mistico di autosalvazione. La forza spirituale dell’anima, che nel cristianesimo era consacrata alla santificazione della vita, poteva essere ora consacrata alla più seducente, più tangibile e, dopo tutto, tanto più facile creazione di un paradiso terrestre».

Egli non riteneva né possibile né auspicabile restaurare un ordine passato, diciamo pre-moderno. Ciò che reputava fondamentale era tuttavia la riscoperta del rapporto profondo tra dimensione temporale e spirituale, ovvero tra ordine terreno e ordine trascendente. Nel momento in cui viene infatti soppresso ogni riferimento di natura religiosa, l’uomo smarrisce l’àncora che gli consente di maturare quell’ordine interiore spirituale cruciale per l’ordine civile. In questo senso, ad esempio, egli contrastava l’interpretazione totalitaria del pensiero platonico: al contrario, Platone era per Voegelin colui che aveva posto chiaramente la questione, per la quale senza verità, un ordine non può reggere. Assassinando Dio in nome della salvezza terrena, si creano le condizioni per una ben poco auspicabile schiavitù eterna: una schiavitù dal potere, ma anche dalle proprie passioni.

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