Ho incontrato di nuovo Enzo, il mio amico “venerabile” nel tour de force dell’infinito

Di Giancarlo Cesana
14 Maggio 2021
«La sua risposta – scrive Bardazzi nel libro che racconta il medico servo di Dio – era sempre fare tutto senza rinunciare a niente. Invece di rallentare, accelerava»; il tutto in un rapporto filiale con Giussani e fraterno con gli amici
Enzo Piccinini

Quando Pietro Piccinini mi ha chiesto di presentare su Tempi il nuovo libro di Marco Bardazzi su suo padre Enzo, ho tentennato. Mi sembrava di avere già dato in termini di presentazioni di Enzo, in libri, incontri e interviste; ero stato interpellato anche per questo libro. Essere ripetitivo non mi piace, di fronte agli altri e a me stesso. Tuttavia, avendo imparato da Giussani che quando una richiesta è positiva è sempre meglio fare che non fare, ho tentennato poco e ho accettato. Sì, io non sono come Enzo, lui come leggerete nel libro doveva lottare contro la propria impetuosità, io contro l’esitazione.

Sono contento di avere accettato e di avere quindi letto con attenzione il libro di Bardazzi. È scritto e fatto bene. Comincia descrivendo il movimento delle mani di Enzo durante una conferenza a Cesena rivolta a medici e infermieri. Il tono della voce accompagna le mani, in una tensione crescente, che vince la stanchezza e il ritardo con cui l’incontro era cominciato, a causa di un intervento chirurgico prolungato. Per arrivare aveva corso con l’auto, come al solito. Diceva che aveva imparato a fare il chirurgo da don Giussani, lo stesso che l’aveva introdotto al senso del vivere, la dimensione più necessaria alla serietà del lavoro e dell’impegno. Diceva che «la vita è unita», cioè sta insieme e si realizza, «se si mette il cuore in quel che si fa». Lo diceva settantacinque giorni prima di morire in un incidente d’auto. 

Copertina di

Bardazzi, fin dall’inizio, fa “vedere” la forza e la drammaticità di Enzo, per il quale nulla era scontato. Io, nel libro, l’ho appunto rivisto e nuovamente incontrato in vicende e particolari per lo più noti, ma anche meno noti e nuovi; tutti resi interessanti dalla descrizione documentata e viva di un’esistenza entrata nel tour de force dell’infinito, come diceva Emmanuel Mounier, scrittore francese molto amato da Enzo.

Anche a me, in genere sul tardi, telefonava esordendo con «novità?» e magari ci eravamo visti il giorno prima. Come dicono i suoi amici di Bologna, «marcava stretto». Bardazzi parla di una febbre di vita, come se la vita non gli bastasse mai: nella rossa Reggio Emilia fin verso le Brigate rosse; poi, sempre lì, nella comunità cristiana attivissima di One Way; poi lo studio della medicina; poi nel rapporto con Fiorisa, sposata a ventidue anni per metter su una famiglia con quattro figli; poi, con Comunione e Liberazione, a Modena e a Bologna e in giro per l’Italia; poi in America ed Europa per imparare nei migliori ospedali; poi all’Ospedale universitario Sant’Orsola, dove aveva messo su un gruppo e un metodo di lavoro che non si tiravano indietro di fronte a interventi complessi che gli venivano richiesti da tutt’Italia. Come Bardazzi fa emergere con incisività, «la sua risposta era sempre quella di fare tutto, senza rinunciare a niente. Invece di rallentare, Enzo accelerava»; il tutto in un rapporto filiale con Giussani e fraterno con gli amici, tra cui io. 

Dall’accurata cronaca di Bardazzi riporto qui due fatti, che per ragioni diverse, mi hanno particolarmente colpito. 

Il primo. L’avventura umana di Enzo era accompagnata dalla lettura approfondita di libri, diversi dei quali suggeriti da Giussani. Tra questi, il più citato nel testo di Bardazzi è Corpi e anime di Maxence van der Meersch. Pubblicato per la prima volta nel 1943, è il racconto realistico, fino a essere crudo, della grandezza e meschinità degli uomini, emblematicamente rappresentati dai medici di un grande ospedale, di fronte al dolore e al mistero della vita e della morte. Enzo dice che questo libro fu decisivo per la scelta della facoltà di medicina. Lo fu anche per me, che, essendo maggiore di lui lo lessi prima, alla fine del liceo, non avendo ancora incontrato il movimento, ma provando la stessa emozione, lo stesso entusiasmo e lo stesso giudizio. La strada per il nostro incontro e la nostra amicizia era preparata da un’affinità, più che del temperamento, come ho detto sopra, del sentimento della vita. Fiorisa ha ratificato la simpatia alla base del nostro ritrovarci, regalandomi il Corpi e anime di Enzo, nell’edizione originale francese, tutta sottolineata e inframezzata da foglietti segnapagina.

La cifra dell’appartenenza

L’altro fatto che non conoscevo e che mi ha commosso è la corrispondenza tra Enzo e Fiorisa durante il fidanzamento. Si tratta di brevi brani di lettere scritti con grande finezza e sensibilità, pieni di un amore vero, fatto di sentimento e di giudizio, che cerca conforto e correzione. Per esempio, io ho sempre pensato che Enzo fosse un po’ egocentrico e la cosa mi disturbava, anche se mai al punto di mettere in discussione stima e amicizia. Tutti abbiamo il nostro “difettino”, come diceva Giussani. Qualche volta, con molta discrezione, glielo facevo notare, soprattutto preoccupato che il difettino si comunicasse ai suoi seguaci, i quali confidano oggi a Bardazzi che «stare con Enzo era come stare in un film», di cui loro erano ovviamente i protagonisti. Enzo con me stava zitto e abbozzava, ma, come risulta dalle lettere a Fiorisa, lo sapeva fin dai vent’anni che era un «capopolo» e un «egocentrico». Aveva la coscienza chiara della difficoltà nel cammino verso l’ideale cristiano. Confessava il bisogno della «verifica con altre persone (quelle del Movimento) senza voler a tutti i costi emergere». Una coscienza così a vent’anni nei dialoghi con la fidanzata è veramente rara. Enzo era un grande.

Appunto! Adesso per Enzo è stata avviata la causa di beatificazione. Dovete ammettere che è inconsueto che un compagno nella battaglia della vita, con momenti buoni e meno buoni, alcuni tristi e altri allegri di bevute e di battute, sia ora anche per me “venerabile”. Leggere il libro di Bardazzi fa vedere alcune ragioni di tale eccezionalità. 

Enzo è un esempio dell’educazione di Cl, che, come disse il santo papa Giovanni Paolo II nella lettera inviata nel 2002 a Giussani e alla Fraternità, ha voluto «indicare non una strada ma la strada per arrivare alla soluzione» del dramma esistenziale. Ho fatto tutto per essere felice è affermazione di Enzo e il titolo del libro che Bardazzi gli ha dedicato. La strada a tale scopo è Cristo, che, come nella testimonianza di Enzo già riferita, tiene uniti tutti gli ambiti della vita – lavoro, famiglia, amicizia – quali occasioni di scoperta e proposta del significato della realtà. In Enzo si dimostra che la natura profonda dell’intelligenza è affettiva, sorgente dalla sequela a Giussani e alla compagnia da lui originata. Bardazzi rimarca e documenta che Enzo cercava continuamente la correzione, che, attraverso un paragone gioioso o sofferto, è comprensione delle cose e fonte di un’azione certa e indomabile. 

In conclusione, la vera cifra – l’elemento caratteristico e fondamentale – della personalità di Enzo è l’appartenenza a Cristo, alla Chiesa, alla comunità; quello che manca di più oggi. Appartenenza per cui Enzo ha dato la vita.

* * *

Il libro Ho fatto tutto per essere felice (Rizzoli, 240 pagine, 16 euro) è basato su documenti della Fondazione Enzo Piccinini, lettere inedite, testimonianze pubbliche e interviste ad amici, colleghi, familiari di pazienti del chirurgo, in Italia e all’estero. In libreria dal 18 maggio, il volume sarà presentato il 20 maggio alle ore 21 sul canale YouTube dell’Associazione italiana centri culturali. Oltre all’autore, Marco Bardazzi, parteciperanno: Francesca Amedea Consolini (postulatrice della causa di canonizzazione), Pietro Piccinini, Giampaolo Ugolini, Massimo Vincenzi, Marina Corradi.

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