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Che cosa può fare il governo per sciogliere l’enigma del Mes

Tra rischio commissariamento e real politik, il Meccanismo europeo di stabilità è difficile da rivedere e respingere. Ma forse c’è qualcosa di più che si può fare

Lorenzo Castellani
16/01/2023 - 6:00
Economia
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Meloni MES
Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ospite a “Porta a porta” lo scorso 22 dicembre (foto Ansa)

Il Mes è un enigma. Da un lato rappresenta un colpo alla democrazia liberale, la superiorità della sorveglianza tecnocratica e finanziaria sui sistemi politici, un ennesimo potenziale commissariamento della politica da parte di istituzioni non rappresentative; dall’altro è un trattato che oramai è stato ratificato da quasi tutti i paesi europei e che, proprio in termini di realpolitik, è molto difficile da rivedere e da respingere. È uno strumento pensato, da tutti gli altri Stati membri, per tenere sotto controllo quei pochi paesi dai conti pubblici problematici come l’Italia. E dunque rappresenta per noi un problema politico, ma non per gli altri o per le istituzioni europee.

A che cosa serve il Mes

Il Mes è un trattato internazionale ed è un ircocervo giuridico, in quanto da un lato è sotto la giurisprudenza del diritto dei trattati politici internazionali mentre dall’altro è regolato dal diritto commerciale, cioè con una governance tipica del diritto privato delle società. Presenta dunque condizioni molto chiare per accedere ai finanziamenti, con condizionalità politiche, cioè riforme da fare, molto stringenti. O si riforma il trattato stravolgendo la strutture dell’istituzione, magari trasformandola in un fondo sovrano europeo che emette bond comuni, oppure è difficile cavarne qualcosa di diverso da ciò che è. Assodati questi elementi, è evidente a tutti che non si può accedere al Mes senza essere sottoposti a determinate condizioni.

Il Mes è stato pensato più di dieci anni fa, ai tempi della crisi greca, per aiutare gli Stati che non avessero avuto accesso ai mercati: e cioè Stati il cui debito nessuno avesse voluto finanziare. Ed è stato pensato, in seconda battuta, per ricapitalizzare banche in crisi, visto che le due cose si tengono e che la Bce, almeno a parole, non potrebbe essere “banca delle banche”.

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Per questo è nato il Mes, come ha sottolineato più volte il costituzionalista Alessandro Mangia, per aggirare i trattati europei o, a seconda dei punti di vista, per renderli meno incompleti. Tant’è vero che il Mes è nato per fare ciò che la Bce, trattati alla mano, non avrebbe potuto fare. E la riforma del Mes, della cui ratifica si discute ora, non è stata pensata per il finanziamento degli Stati, quanto per la gestione delle crisi bancarie, nel senso che il Mes dovrebbe operare come ulteriore livello di protezione dopo il bail-in di una banca fallita, e a supporto del Fondo di risoluzione unico.

Molto rumore per nulla, o quasi, sul Mes

Tuttavia, il Mes è una burocrazia europea che opera, da banca, sui mercati internazionali, avvalendosi di questo doppio ruolo, metà salva-banche e metà salva-Stati. E che giustifica la propria esistenza nella prospettiva di una crisi finanziaria, senza però avere l’infinita dotazione di una banca centrale per gestire una vera crisi, che sia del settore pubblico o del settore privato. Il problema, insomma, è che il Mes può gestire solo crisi di limitatissime dimensioni. In definitiva l’Unione Europea, e gli europeisti ortodossi, stanno facendo molto rumore per nulla o quasi. Senza contare che oggi la condizionalità nonché la sorveglianza su gran parte delle politiche pubbliche è esercitata dalla Commissione attraverso il Pnrr.

Ciò detto, quando la Germania ratificherà il trattato del Mes, l’Italia resterà da sola e questa potrebbe non essere una buona notizia. Allora il Mes si potrà ratificare, ma senza dimenticare che lo strumento è quello che è e che resta una soluzione ultima ratio. In particolare modo, andranno evitati massicci aumenti del debito pubblico che non siano attraverso un debito comune europeo.

L’operazione politica che Meloni potrebbe fare

Ma forse c’è qualcosa di più che si può fare. Come ricorda spesso Giulio Sapelli, c’è l’idea, condivisa dal professore torinese con due uomini ideologicamente distanti come Tremonti e Bazoli, del prestito nazionale. Un prestito dei risparmiatori italiani per la nazione, come si fece negli anni della ricostruzione dopo la Seconda Guerra mondiale, sotto la guida di Luigi Einaudi. Prestiti che sortirono – perché i prestiti furono più di uno – l’effetto di unire tutte le forze politiche al di là degli scismi della Guerra fredda e che ridiedero alla nazione quello slancio, non solo finanziario, che non doveva esser perduto dopo la lotta di liberazione nazionale.

Si tratterebbe, in sostanza, di mobilizzare la grande quantità di risparmio italiano oggi fermo sui conti correnti per avviare una processo di “finanziarizzazione” dell’economia, che nient’altro significa se non investimenti nelle nostre aziende e nelle infrastrutture attraverso questo prestito nazionale. Ma Giorgia Meloni, pur scegliendo con buone probabilità di ratificare il Mes, troverà il coraggio per fare un’operazione politica di questo livello?

Tags: bceGoverno MeloniMesUnione Europea
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