Il 24 e 25 febbraio si voterà sotto il bombardamento delle procure. Niente di nuovo. Fate attenzione, però. L’obiettivo, questa volta, è la soluzione finale. Ovvero la “soluzione” prevista da uno dei più noti dissidenti dell’ex Unione Sovietica. Il suo nome è Vladimir Bukovsky e ha trascorso dodici anni nei gulag. Oggi vive a Cambridge e da cittadino inglese, nel 1995, pubblicò un volume tradotto in tutta Europa e che in Italia, in una versione ridotta (Gli archivi di Mosca, Spirali), apparve solo nel 1999. Quel volume contiene carte degli archivi del Cremlino. Prove dei finanziamenti di Mosca al Partito comunista italiano. E giudizi durissimi su “Mani pulite”. Bukovsky prevedeva che grazie a un certo tipo di magistratura «un paese fiorente come l’Italia affonderà». «E chi lo potrà salvare se non quelli che hanno le “mani pulite” – come “mani pulite, teste fredde, cuori caldi” avevano gli agenti delle purghe staliniane –?». Non è andata esattamente così. Ma adesso il quadro bukovskiano ci sta venendo a trovare. In che senso? Bè, immaginate cosa ci dev’essere al cuore di uno Stato in cui l’organismo di autocontrollo della magistratura passa in pochi mesi dall’apertura di un processo disciplinare a carico di un magistrato (Roberto Scarpinato) che ha insultato esponenti di altre istituzioni ed elogiato le “microspie” come strumento di “ascolto del potere”, alla promozione del medesimo magistrato a procuratore generale.
Pensate a cosa dev’essere ridotto un paese che dopo aver attraversato indenne, grazie ai suoi servizi segreti militari, i terribili anni del terrorismo post-Torri Gemelle che fecero strage di americani, spagnoli, inglesi, francesi, vede ora i propri vertici di servizi segreti militari (caso Pollari, Mancini e altri) condannati a pene detentive comprese tra i sei e i dieci anni, impossibilitati a difendersi e con giudici che vanno a sentenza non ritenendosi obbligati al rispetto delle decisioni della Corte costituzionale né alla presa d’atto che nei giorni immediatamente precedenti la loro sentenza anche il governo Monti, come quelli Berlusconi e Prodi, aveva confermato la posizione del segreto di Stato e sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale.
Immaginate cosa ci dev’essere nella stanza dei bottoni di una repubblica in cui una Corte costituzionale decreta che «le intercettazioni del capo dello Stato devono essere distrutte sotto il controllo del giudice» e a tre mesi dalla sentenza della Consulta le intercettazioni restano lì, intatte.
Immaginate quale futuro di ripresa può avere un paese con un tessuto industriale a pezzi, l’economia a rotoli, le famiglie in povertà, la disoccupazione ai massimi storici, e nonostante tutto ciò, nonostante l’agonia della società, funzionari dello Stato, singoli pubblici ministeri, non trovano alcun potere in grado di arginare i loro provvedimenti abnormi che hanno il potere di chiudere fabbriche con decine di migliaia di operai (caso Ilva), minare le commesse dell’unica grande impresa italiana all’estero (caso Eni), distruggere l’immagine dell’ultima azienda italiana rimasta competitiva a livello internazionale (caso Orsi-Finmeccanica).