Eni e lo sviluppo sostenibile in Nigeria, una case history ad Expo 2015
DA MATTEI ALL’EXPO. Grp anzitutto ha contribuito a creare un solido legame di fiducia tra la Nigeria e Eni. Lapo Pistelli ha spiegato il perché, sottolineando che proprio questa motivazione abbia portato anche al suo addio alla politica: «Nella mia precedente vita, ho visto spesso sul campo l’orgoglio di chi all’estero lavorava con Eni. Mi ha spesso colpito vedere il senso di appartenenza e la fierezza del portare il cane a sei zampe sulla maglietta, condiviso tanto dall’amministratore delegato che dal semplice macchinista. La seconda cosa che mi ha sempre colpito è la “dual flag”, cioé il fatto che nei paesi esteri in cui Eni è presente, usa sempre la doppia bandiera, quella del cane a sei zampe e quella della nazione ospitante. Quest’ultimo è un simbolo con cui Mattei, sin dagli anni ’50, ha marcato una differenza rispetto ad altre aziende energetiche, che si presentavano con un fare più predatorio. Mattei invece ha trasformato Eni e il fattore di “debolezza” italiana, cioé la mancanza di politiche coloniali, in un punto di forza, ovvero la capacità di guardare occhi negli occhi gli altri paesi». Pistelli ha proseguito: «La cultura di guardare tutti alla pari si è espressa persino nell’organizzazione di Expo. Prima dell’ edizione Milano 2015, non era mai accaduto che una nazione ospitante si inventasse la formula dei “cluster” per consentire a tutti i paesi di partecipare, anche a quelli che non possono permettersi un proprio padiglione».
SOCIETÀ PIÙ ORGANIZZATA. Nel solco di questa cultura, nel progetto Green river project – ha aggiunto – Pistelli, in un ventennio si è passati dall’offrire kit di sementi al trasmettere un patrimonio di conoscenze e competenze italianissime. Dai corsi di formazione agricola, domestica e di attività legate alla pesca, si è arrivati alla costituzione di cooperative tra gli agricoltori (un fatto unico nel panorama economico africano fondato sulla divisione dei villaggi e delle tribù più che sulla collaborazione). Oggi, inoltre, sono stati attivati corsi di formazione anche in attività di “servizio” che portano a nuove dimensioni i villaggi agricoli nigeriani, con l’educazione di artigiani del legno, parrucchieri, meccanici, esperti di catering e persino di organizzazioni eventi. «Noi italiani, proprio per questo saper fare, siamo divenuti una potenza industriale pur non avendo materie prime. Non dobbiamo dimenticare chi siamo» ha concluso Pistelli.
«ASSUMERÒ ALTRE PERSONE». Chief Lionel Jonathan Omo è un agricoltore e insegnante di legge a Yenagoa e vive nella sua fattoria di Achi ever, dove lavora nella piscicultura di Heterobranchus (il pesce gatto africano, tipico della zona, ndr.) e si occupa della produzione industriale di questo pesce, insieme alla sua comunità, di cui è capo. Intervistato da Eni in uno dei video propiettati ad Expo, Chef Lionel ha spiegato che il Green river project ha «un impatto molto positivo, perché il problema della Nigeria è essenzialmente la disoccupazione, e la nostra unica chance è usare il settore agricolo per risolvere il problema. Il grande problema del settore agricolo è la meccanizzazione e il Grp ci aiuta proprio in questo senso». Grazie alla crescita avuta con nuovi mezzi meccanici forniti da Grp, oggi Chef Lionel può iniziare a progettare anche un futuro nuovo per la sua comunità: «Nei prossimi cinque anni, vorrei inscatolare e esportare il pesce delle nostre culture. Questo progetto adesso è nella sua fase iniziale, e penso che il Grp, grazie alle competenze che ha possa aiutare tutti gli africani ad inscatolare per il mercato globale». Iwunoh Jennifer è invece una studentessa di Kwale, nello stato del Delta, che ha beneficiato di una borsa di studio di Nigerian Agip oil company e del Grp e che si racconta in un altro video. Essendosi classificata prima, ha vinto dei premi e attrezzature agricole: «Tutto ciò ha contribuito notevolmente alla mia carriera scolastica, in quanto adesso i miei genitori non devono spendere tanti soldi per la mia educazione. Il Grp sta già contribuendo quindi al mio futuro, ma credo che una consapevolezza pubblica sull’importanza dell’agricoltura possa aiutare molto pure a vedere la regione del Delta del Niger al di là del petrolio». Ngozi Ekuku, del villaggio di Omoku, dal Grp ha invece ricevuto sementi e attrezzature agricole. «Ne ho beneficiato partendo in piccolo, la mia vita è molto migliorata e ciò mi permette di far crescere gli altri. Nei prossimi cinque anni infatti mi piacerebbe assumere altre persone».
I NODI EUROPEI. Secondo Alfredo Mantica, tutti questi sono esempi interessanti per comprendere la nuova tendenza verso cui si muove l’Africa: «Il ritorno alla priorità dell’agricoltura per lo sviluppo dell’Africa, e della Nigeria in particolare. Chiaramente l’agricoltura non va più intesa però come mera sussistenza del contadino. Oggi la produzione africana potrebbe sfamare il continente, e invece proprio la Nigeria è il più grande importatore di riso al mondo». Mantica ha proseguito spiegando che «Sono inoltre in atto alcune tendenze preoccupanti, come l’affitto di appezzamenti per l’agricoltura a paesi che non hanno a disposizione terreni fertili, come quelli del Golfo. Un fenomeno che rischia di trasformarsi in una nuova forma di colonialismo economico, aggiunto al comportamento di paesi come la Cina le cui compagnie petrolifere sfruttano completamente i territori, non lasciando più nulla». Perciò, ha sottolineato Mantica, «Occorre agire profondamente anche sul piano sociale e in questo l’Italia ha sempre svolto un ruolo cruciale. Anche per progetti come il Green River Project va sottolineato che non ci sono molte compagnie al mondo apprezzate come Eni». Mantica ha quindi segnalato «Un altro problema per lo sviluppo delle risorse africane da affrontare, infine, sono le norme europee. Le banane africane più buone sono quelle più piccole. In Italia però non le conosciamo perché non è possibile commerciarle in Europa, in base alle direttive. Altri problemi ci sono per l’esportazione della canna di zucchero e per il dumping sul cotone. Se vogliamo sostenere lo sviluppo in Africa, forse anche come Ue dovremmo rivedere alcune regole del libero mercato».
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