Disastro carceri, sciopero della fame a Regina Coeli: «Una notizia a cui non dobbiamo abituarci»

Di Redazione
24 Luglio 2013
Nel carcere principale della Capitale sono ammassati oltre mille detenuti su una capienza di circa 700

Anche quest’anno comincia lo sciopero della fame nel carcere Regina Coeli di Roma. I detenuti del secondo e terzo braccio della principale casa circondariale della Capitale hanno infatti deciso di ricorrere ancora una volta a partire da oggi «a uno strumento così estremo (…) per poter mettere all’attenzione del mondo di fuori, e della politica» la condizione in cui vivono loro e i reclusi di tutte le carceri italiane. E non è questa un notizia cui bisogna abituarsi come si rischia di abituarsi «alla notizia dell’arrivo del primo vero caldo dell’estate». Ecco perché.

EMERGENZA CARCERI. «Il Regina Coeli – scrive Il Foglio – è un carcere dove sono ammassati oltre mille detenuti su una capienza di circa 700, dove lavorano 460 agenti penitenziari quando la pianta organica ne prevede più di 600». «Il problema delle carceri italiane – prosegue l’editoriale – non è una questione di umanitarismo, ma di civiltà giuridica e di decisione politica». L’Italia è un paese dove «il 42 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Di questi circa la metà risulta innocente, una volta celebrati i processi per la cui lunghezza media andiamo tristemente famosi». Ma non è tutto. Infatti, «ancor più triste è la contabilità mortuaria: dall’inizio dell’anno ci sono stati 90 decessi, di cui 29 suicidi, e sono ben 7 gli agenti penitenziari che si sono tolti la vita». Le proteste, aggiunge l’editoriale, potrebbero iniziare a breve in molti altri dei duecento istituti di pena italiani.

AMNISTIA. Dopo la recente condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, al Senato è in via di conversione il decreto carceri, che servirebbe quantomeno per alleggerire la situazione. E aggiunge Il Foglio che il ministro Annamaria Cancellieri «ha ribadito che l’amnistia “dal punto di vista tecnico, servirebbe eccome”, ma sa benissimo che è un problema politico. Così come è un problema politico la malattia della giustizia da cui tutto questo discende. Ma finché non si potrà parlare di durata dei processi, di abuso della carcerazione preventiva, e di tante altre cose ancora, la malattia non potrà guarire».

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