Egitto, 100 mila cristiani hanno abbandonato il paese dal marzo 2011
Circa 100 mila cristiani hanno abbandonato l’Egitto dal marzo 2011. Lo rivela un rapporto stilato dall’Euhro, Unione egiziana delle organizzazioni per i diritti umani. Il rapporto, consegnato anche al Consiglio supremo dell’esercito la scorsa settimana, identifica come causa gli attacchi contro i cristiani da parte degli islamici che si sono intensificati dalla caduta di Hosni Mubarak. «I copti non se ne vanno dall’Egitto volontariamente» spiega Naguib Gabriell, direttore dell’Euhro. «Sono costretti a farlo a causa di minacce e intimidazioni da parte degli estremisti salafiti e della mancanza di protezione da parte di chi governa». Secondo l’Euhro, 42 mila sono emigrati negli Stati Uniti, 14 mila in Australia, 17 mila in Canada, 20 mila in Olanda, Italia, Inghilterra, Austria, Germania e Francia.
Secondo Naguib, gli estremisti salafiti negli ultimi mesi «hanno preso coraggio» e attaccato sempre più di frequente i copti. Come ha fatto il 12 settembre scorso Yasser Borhami, alla guida dei salafiti di Alessandria, che li ha accusati in televisione di essere «infedeli, che vivono nell’oscurità perché sono lontani dall’islam». Se l’emigrazione di cristiani, continua Naguib, «che rappresentano il 16% della popolazione egiziana continua con questa rapidità, potrebbe raggiungere quota 250 mila persone entro la fine dell’anno. Nei prossimi dieci anni, l’Egitto potrebbe ritrovarsi con un terzo di copti in meno, e questa sarebbe una perdita enorme anche per l’economia».
Secondo l’Euhro i militari non fanno abbastanza per proteggere i cristiani, anche se non si può dire che non stiano esercitando il pugno di ferro. Se le torture e la brutalità della polizia erano un marchio distintivo del vecchio regime di Mubarak, secondo Gamal Eid, direttore dell’Arabic Network for Human Rights Information, la situazione durante i mesi di governo dei militari non è migliorata: «Ci sono stati tantissimi casi di tortura perpetrata dalla polizia militare. Penso sia sistematica perché nessuno che è stato arrestato dai militari è uscito affermando di avere ricevuto un trattamento decente. Con questo non intendo dire che i militari vogliano reintrodurre la tortura nella società egiziana, credo solo che non sappiano come comportarsi con quelli che protestano». Ma secondo l’attivista politico Hossam El-Hamalawy la situazione è addirittura peggiorata: «In passato, quando la polizia prendeva gli attivisti, perché non si parlasse troppo di abusi doveva stare attenta a non lasciare il segno dei maltrattamenti. I militari invece non hanno di questi problemi e quindi usano torture anche peggiori».
Secondo le organizzazioni per i diritti umani, questo peggioramento è riscontrabile anche nel numero di processi che si sono tenuti davanti alle corti militari dal marzo 2011. Negli ultimi 8 mesi, sarebbero ben 12 mila i civili passati dal giudizio di una corte militare, mentre in tutta l’era Mubarak si erano verificati solo duemila casi. Secondo l’avvocato e attivista per i diritti umani Atef Shahat Said «c’è anche un’altra anomalia: secondo dati che provengono dal capo della magistratura militare, la percentuale di persone giudicate innocenti in un processo militare è pari al due per cento, mentre raggiunge il cinquanta per cento nelle corti civili».
Nonostante lo State Security Intelligence (Ssi), che durante il regime di Mubarak imprigionava i nemici politici, sia stato smantellato, il National Security Sector (Nss), che ha preso il suo posto, è composto per il 25 per cento dagli stessi ufficiali. Alcuni generali occupano la stessa carica che avevano al tempo del Ssi, tanto che El-Hamalawy commenta scettico sulla nuova entità che, secondo le dichiarazioni ufficiali, non violerà la giustizia e i diritti delle persone: «Solo il tempo ci dirà se il nuovo corpo sarà diverso. Però, se ci sono gli stessi ufficiali e gli stessi capi, temo ci sarà anche la stessa mentalità».
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