Economia. Anche Francia e Germania hanno i loro guai

Di Daniele Forti
16 Agosto 2022
L'economia tedesca si è fermata, anche per colpa delle scelte in campo energetico. E i transalpini hanno i loro problemi per il forte indebitamento pubblico
Il presidente francese Emmanuel Macron con il cancelliere tedesco Olaf Scholz al G7 Germania, 26 giugno 2022
Il presidente francese Emmanuel Macron con il cancelliere tedesco Olaf Scholz al G7 Germania, 26 giugno 2022

L’economia dei paesi della zona euro è cresciuta in media dello 0,7% nel secondo trimestre dell’anno in corso. Il dato nasconde forti disparità fra i 19 paesi dello spazio monetario: fra i maggiori paesi la Spagna (+1,1%) e l’Italia (+1%) si collocano in testa, sostenute dallo smantellamento delle restrizioni del periodo di pandemia e dalla forte ripresa dei flussi turistici estivi. Pure la Francia (+0,7%) ha beneficiato di un buon inizio di stagione estiva. Gli stati baltici sono invece sul cammino della recessione. L’inquietudine maggiore viene dalla Germania, dove la crescita nel trimestre è stata nulla. L’uso del termine “crescita” è in realtà poco significativo: si dovrebbe più appropriatamente parlare per tutti di “recupero” dopo la crisi economica causata direttamente dalla pandemia e indirettamente dalle misure di contrasto adottate. La maggior parte dei paesi della zona euro si trova a metà del 2022 ad aver sostanzialmente recuperato la caduta del Pil subita a partire dal 1° trimestre 2020.

L’arresto dell’economia tedesca non sorprende; essa conta il più importante settore industriale europeo, che è stato duramente toccato dalle perturbazioni delle catene di approvvigionamento e dalla crisi delle forniture del gas russo. Le sue industrie a forte intensità energetica potrebbero conoscere nei mesi prossimi delle drastiche chiusure per mancanza di gas e/o per i suoi alti prezzi. L’economia tedesca ha un peso importante nelle economie degli altri paesi. Anche molte industrie dell’Italia del nord potrebbero esserne colpite, viste le catene di forniture che legano industrie della Val Padana a quelle della Germania meridionale.

Una incapacità di cooperare

In materia energetica i passati governi tedeschi hanno fatto la scelta a favore delle energie rinnovabili (solare ed eolico) e a favore del gas russo. Hanno anche fatto la scelta di abbandonare il nucleare. Quest’ultima scelta non è stata soltanto o in primo luogo il frutto di un accecamento provocato dall’ideologia ecologista: dobbiamo leggervi l’incapacità dei tedeschi di gestire una cooperazione con i francesi nel campo nucleare in cui non avevano la leadership.

La società a capitale misto, in cui i tedeschi avevano il 30%, non è andata avanti di fronte al diniego dei francesi di accordare un aumento di partecipazione alla tedesca Siemens. In materia industriale i tedeschi non sanno cosa sia la cooperazione: devono avere una presenza dominante, altrimenti preferiscono ritirarsi e rischiare il fallimento dei progetti comuni. Nel 2008 Siemens si è ritirata dal progetto nucleare con i francesi e due anni più tardi il governo tedesco ha preferito rinunciare ad avere una industria nucleare in cui non aveva una chiara leadership tecnologica.

Da questa decisione è seguita quella di chiudere progressivamente le centrali nucleari attive; ne restano in funzione tre, di cui è stata confermata la chiusura entro la fine dell’anno con un voto recente del parlamento tedesco a maggioranza risicata. È dubbio che gli altri paesi della Ue vorranno garantire alla Germania la loro solidarietà nel caso di chiusura dei gasdotti dalla Russia. Recentemente il governo Scholz ha incominciato a ripensare la sue decisione e forse la chiusura di quelle tre centrali (che producono il 6% circa dell’energia elettrica tedesca) verrà rinviata.

Un modello mercantilista

Il modello economico tedesco è basato su un approccio mercantilista, cioè sulla ricerca continua di un rafforzamento delle sue esportazioni nette, con conseguenti forti avanzi della loro bilancia commerciale in particolar modo con gli altri paesi della Ue (con la Francia il loro eccedente commerciale è di circa 40 miliardi di euro ogni anno). Non vale per loro che una delle regole comunitarie stabilisca che gli eccedenti commerciali strutturali debbano essere eliminati. I tedeschi si sono fatti forti in questi 25 anni anche di un cambio dell’euro con gli altri paesi che li ha favoriti, mentre ha depresso ad esempio l’economia italiana.

La Francia è andata incontro in questo periodo ad un forte processo di deindustrializzazione, a causa della decisione di molte sue industrie di punta di delocalizzare all’estero l’intero processo produttivo; al contrario i tedeschi hanno delocalizzato solo la fabbricazione di componenti (che venivano poi importati in Germania, dove il processo produttivo era completato). In questo frangente di crisi energetica l’industria francese si avvantaggia sicuramente per il fatto di possedere una industria nucleare che abbassa fortemente il costo della bolletta energetica per le famiglie e le imprese francesi.

Tuttavia la metà circa delle centrali nucleari è in questo momento chiusa per la necessità di affrontare delle manutenzioni straordinarie dovute ad un difetto tecnico comune. La mancanza di investimenti dovuta alla continua denigrazione del nucleare ha prodotto questa situazione, insieme con l’eccesso di subforniture a industrie straniere. Ci si dovrebbe invece interrogare sulla possibilità che nella Ue l’industria nucleare possa sopravvivere in un solo paese, senza una politica comune.

Il peso del debito pubblico francese

La maggior parte dei commentatori ha sottolineato che il nuovo strumento annunciato dalla Bce per combattere la frammentazione dei tassi di interesse era in realtà pensato per far fronte ad una possibile ondata speculativa sui mercati finanziari contro i titoli del debito pubblico italiano. Essi hanno superato il 150% del Pil e loro tassi di interesse hanno subito una divaricazione rispetto ai corrispondenti titoli tedeschi che si è pericolosamente avvicinata ai 250 punti base.

Dietro questa decisione si può anche intravedere l’ombra della situazione finanziaria della Francia, che soffre anche di un forte indebitamento pubblico aggirantesi intorno al 115% del Pil e presenta un deficit della bilancia commerciale abissale. La possibile frammentazione della zona euro diventa possibile poiché la Francia si è nutrita della droga della spesa pubblica. Abbiamo ben presente che da lungo tempo l’Italia presenta costantemente un eccedente primario (cioè un saldo positivo fra entrate ed uscite della spesa pubblica prima del calcolo degli interessi): ad esempio nel 2019 prima della pandemia l’eccedente primario era in Italia dell’1,8% del Pil, mentre la Francia presentava un deficit dell’1,6%.

I dubbi della Bce

È sicuramente vero che la Bce possa temere che i tassi di interesse italiani tendano ad aumentare la loro divergenza da quelli tedeschi: le nuove emissioni di debito pubblico italiano a 10 anni avvengo in queste settimane a circa il 3,5%; i corrispondenti titoli tedeschi presentano un tasso inferiore all’uno per cento e quelli francesi un tasso di circa l’1,6%. La nuova politica intrapresa dalla Bce di reinvestire i proventi dei rimborsi dei titoli scaduti in suo possesso (senza rispettare più la regola fissa della percentuale di partecipazione di ogni paese al suo capitale) ha certamente prodotto dei risultati in queste settimane. Ma questa arma si avvale di munizioni limitate (meno di 20 miliardi di euro al mese). Esse non sarebbero certo sufficienti per affrontare anche una crisi del debito pubblico francese. Si deve dedurre che i timori della Bce di dover correre in soccorso di diversi paesi anche importanti abbiano spinto alla creazione del nuovo strumento: il Tpi (Transmission Protection Instrument).

Il 1° agosto scorso il giornale francese Le Figaro concludeva un suo editoriale dicendo: «Il est peut-etre temps d’expliquer a nos concitoyens que, si zone euro risque de se fragmentiser, c’est en partie a cause de la mauvaise gestion de la France. Notre responsabliitè collective est immense» (è forse tempo di spiegare ai nostri concittadini che, se la zona euro rischia di frammentarsi, è in parte a causa della cattiva gestione della Francia. La nostra responsabilità collettiva è immensa).

Foto Ansa

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