C’è in giro, scusate la parola, una stronzata. Lo chiamano scoop e da Rai3 ha fatto il giro delle tv e stampa nazionali. Adesso è in cima alle notizie del Fatto Quotidiano ed è lì che strilla: «Io cavia umana in Svizzera per colpa della crisi. Reportage dall’ultima frontiera della sopravvivenza. Sono 750 gli italiani, soprattutto dal Nord della Lombardia, che ogni anno si presentano nella clinica in cui si testano i farmaci. Il proprio corpo in cambio 1.200 euro».
A dire il vero, questa delle “cavie umane” cosiddette non è una novità. Non c’entrano le frontiere, né la sopravvivenza, né, tantomeno, la crisi (e naturalmente neanche l’ultramalvagio Berlusconi). E sapete perché? Perché le “cavie umane” che volontariamente si sottopongono a test farmacologici ci sono e ci sono sempre state. Sia che si fosse in epoca di Generale Spread, come adesso. Sia che l’economia andasse a gonfie vele.
Volete un esempio? Eccolo qua. Chi scrive ha fatto da “cavia umana” cosiddetta presso un grande ospedale milanese. E non adesso che si deve tirare la cinghia. Ma trent’anni fa, negli splendidi e dorati anni Ottanta. E con me, la “cavia” cosiddetta l’han fatta centinaia di studenti universitari. Per il bene della scienza e il progresso degli studi farmacologici? Chiaro che no. Chiaro che queste cose si fanno solo per soldi.
Perciò, non fatevi terrorizzare (e imbrogliare) dall’idea di chissà quali oscuri fondali frankensteiniani. Sono solo test, normali test, che non comportano alcun rischio. O forse sì. Ma intanto sono passati trent’anni e sono ancora qui a raccontarvi questa storia. Che non c’entra con la crisi e non piagnucola di quanto siamo poveri a causa degli evasori fiscali, dei ricchi e delle case farmaceutiche brutte e cattive. Semplicemente, ci sono cose che si fanno per soldi. Tutto qui.
Per quanto mi riguarda, io e gli altri compagni universitari che andavamo all’ospedale Sacco, testavamo prodotti per il ciclo mestruale, antidolorifici, aspirine. Qualcuno accettava anche prove un po’ più hard, tipo certi esami con liquidi di contrasto. E comunque, durante quelle mattinate passate a ingoiare pillole e contarsela su, ci siamo perfino divertiti e abbiamo imparato qualcosa.
Abbiamo imparato a farci l’autoprelievo del sangue, a misurare certe reazioni chimiche, a sorridere di tanti nomi e promesse taumaturgiche roboanti che poi hanno invece solo effetti placebo. Insomma, fare la cosiddetta “cavia umana” è un’esperienza di conoscenza e di denari abbastanza interessante per chi non soffra di depressione declinista o di paranoie disfattiste. Comunque sia, vi do una notizia, sempre meglio buttare giù un’aspirina che andare in miniera. Sempre meglio lavorare che raccontare scandali che non esistono.