Ecco perché andremo tutti in pensione con meno di 1.000 euro al mese (e perché sarà dura evitarlo)

Di Matteo Rigamonti
09 Luglio 2014
Intervista a Massimiliano Casto, tributarista e consulente del lavoro. «Trentenni e quarantenni devono affidarsi alla previdenza integrativa, ma per loro il risparmio è quasi impossibile. Renzi incentivi almeno l'assunzione dei giovani»
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Hai voglia a pensare a qualche forma di risparmio o previdenza integrativa, quando il tuo reddito ti permette a malapena di arrivare a fine mese. Accantonarne, poi, una quota anche solo minimamente rilevante ai fini pensionistici, sapendo che questa sarà rivalutata di pochissimo quando arriverà l’età del ritiro (settant’anni?), contribuisce ad alimentare malcontento e sfiducia. La verità, però, è che non sembrano esserci valide alternative, specie per i più giovani, trentenni, ma anche quarantenni, liberi professionisti o con alle spalle molteplici forme di collaborazione (e quindi di contribuzione) irregolari e scostanti negli anni. A spiegare a tempi.it come ha fatto l’Italia ad arrivare a questo punto, tanto da allarmare persino il Wall Street Journal, è il tributarista e consulente del lavoro Massimiliano Casto, secondo cui il governo Renzi potrebbe fare molto di più per «ispirare a maggiore equità il sistema previdenziale», a partire dai criteri con cui l’Inps eroga le pensioni.

Qual è il vero stato di salute dei conti dell’Inps?
La verità è che l’Inps ha più uscite che entrate. La relazione sul bilancio di previsione per il 2014 parla di uno squilibrio di oltre 20 miliardi di euro tra spesa pensionistica (211,1 miliardi di euro) ed entrate contributive (190,4 miliardi di euro). Un passivo dovuto prevalentemente al fatto che l’ente di previdenza nazionale ha incorporato nel 2012 la gestione dei dipendenti pubblici, l’ormai ex Inpdap, portandosi così in pancia un buco da 23,7 miliardi di euro (si veda la tabella qui sotto pubblicata da Libero il 28 giugno, ndr). E senza gli attivi fatti registrare dai saldi della Gestione separata, nonché delle casse previdenziali dei liberi professionisti, il disavanzo sarebbe addirittura maggiore, pari a oltre 30 miliardi di euro. Senza contare poi che l’Inps per riequilibrare i conti non può più attingere nemmeno al suo patrimonio immobiliare: nel 2009, infatti, era pari a 40 miliardi di euro, ma da allora è stato azzerato.

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Cos’è cambiato dopo la riforma Fornero?
La riforma Fornero ha degli aspetti che sono negativi ed altri positivi. Per esempio, è positivo che abbia ridotto sensibilmente il regime di favore per i lavoratori più anziani, quelli che nel 1995 avevano maturato 18 anni di contributi e che ora andranno in pensione qualche anno più tardi, contribuendo così a generare un risparmio di spesa per circa 4 miliardi di euro l’anno a partire dal 2012. Negativo, invece, è il fatto che la riforma abbia dimostrato scarsissima attenzione verso i giovani. Ed è problematico anche che si sia deciso di ancorare la rivalutazione dei contributi versati alla crescita del Pil. In un momento in cui la crescita è bassa, quasi nulla, ciò significa che i contributi versati praticamente non si rivalutano.

Quale futuro previdenziale attende i trentenni e i quarantenni d’Italia?
Certamente non un futuro roseo (come evidenzia la tabella qui sotto pubblicata sul Corriere Economia del 7 luglio, ndr), specie per chi versa i contributi come autonomo o alla Gestione separata dell’Inps. Se è vero, infatti, che la Gestione separata, dove versano i contributi tutti i lavoratori atipici, tra i quali rientrano anche molti giovani, ha fatto registrare un attivo pari a circa 8 miliardi di euro, è vero anche che in realtà gran parte di questi giovani versano contributi esigui, che si tradurranno, quando andranno in pensione, a 67, 68 o addirittura 69 anni, in assegni mensili di gran lunga inferiori ai 1.000 euro. È una situazione grave, che da vent’anni praticamente qualsiasi governo ha provato a risolvere, senza riuscirci.

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Cosa deve fare dunque il governo Renzi?
Stando così le cose, è difficile che possa cambiare qualcosa nel sistema previdenziale italiano. Il problema più grave, oltre alla disoccupazione, continua ad essere quello degli stipendi troppo bassi, che rendono quasi impossibile il risparmio. È bene quindi incoraggiare la previdenza integrativa, ma se non ci sono le condizioni per farla, difficile che possa prendere piede. Soprattutto tra i più giovani, che pure sono quelli che ne avrebbero più bisogno e che invece dipendono ancora dalle famiglie. Qualcosa potrebbe cambiare se il governo decidesse di adottare una seria politica che incentivi l’assunzione dei giovani disoccupati, rendendola più conveniente per le imprese. L’ultima volta che l’Italia l’ha fatto è stato negli anni Novanta, con la legge 407/90 che garantiva assunzioni agevolate per tre anni. Poi più nulla. Inoltre il governo dovrebbe intervenire per ridurre alcune eccessive voci di spesa dell’Inps, come certe indennità di disoccupazione, per esempio quelle agricole, ispirando il sistema previdenziale a maggiore equità: non si capisce perché la famiglia di un lavoratore autonomo debba essere trattata diversamente da quella di un dipendente nel percepire gli assegni familiari. Sono storture che contribuiscono ad alimentare la sfiducia degli italiani.

@rigaz1

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2 commenti

  1. francesco taddei

    ringraziamo il keynesiano debito pubblico, creato dagli uomini delle istituzioni, benedetti e senza morale, a cominciare da chi formulava aforismi sulle generazioni future, una generazione di italiani capaci solo di rubare che ci lascia sul groppone un debito da riparare, con moderni keynesiani per corrispondenza che lisciano i politici per fare ancora più debito, perché si sa “le tasse sono una cosa meravigliosa”.

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