E la bambina rise

Di Marina Corradi
26 Febbraio 2004
Nel catalogo di una mostra da poco conclusa

Nel catalogo di una mostra da poco conclusa – “La creazione ansiosa”, da Picasso a Bacon, Verona, Palazzo Forti – ti imbatti in un’opera giovanile di Felice Casorati. “Le bambine” porta la data del 1906. Un gruppo di bambine, con le vesti ancora lunghe d’inizio secolo, in posa davanti al pittore, in un giardino. A dirlo, pare un soggetto del tutto lieto, banale. Ma quella compagnia di bambine, i loro sguardi, i loro sorrisi, sono gravidi di una domanda inquieta e non detta – sono gravidi di domanda e di mistero. Cadere dentro a un quadro. Restare a guardarlo per mezz’ora, sprofondarci dentro, sentire quasi l’odore di quel giardino. Doveva essere di primavera avanzata, forse di maggio, eppure non c’è una luce viva. Probabilmente era pomeriggio, magari in un convitto di suore – in cui si raccomanda alle ospiti di stare quiete. Le bambine sono bene educate. Sopportano la noia della posa con pazienza. Una ha il viso assorto, poggiato sulle mani, a fissare interrogativa il pittore. Una, di spalle, è esile come un uccello nel nido. Due bisbigliano fra loro. Una è bella come una Madonna. Soltanto una fra tutte guarda il ragazzo che le ritrae, e ride: ride lieta, fiduciosa, come chi s’aspetti un avvenire bellissimo. Ride, i capelli mori, le belle guance piene, coi suoi otto anni, nell’anno 1906.
Ed è lei il centro del mistero del quadro. Per noi che veniamo adesso, per noi che sappiamo. Le bambine di quel quadro erano nate attorno al 1900. Avrebbero visto i fratelli maggiori partire per il Piave e l’Isonzo, e spesso non tornare. Di poco cresciute, sarebbero diventate le madri dei Balilla, madri feconde, certo, ma a quale prezzo, vent’anni dopo. Madri di generazioni mangiate via dalla guerra. Non sapeva, non poteva immaginare, la bambina mora che rideva felice. E se mai una fra le sue compagne era ebrea, meno che mai poteva pensare la mostruosità e l’orrore che andava silenziosamente covando nel cuore dell’Europa. La bambina bruna non sa. In qualche modo invece un’oscura inquietudine compare nel dipinto; come un’ombra sul negativo, che nell’inquadrare invece non si era osservata. Cosa hanno letto gli occhi del giovane Casorati in quelli innocenti e assorti di un gruppo di bambine, nel silenzio di un pomeriggio in un giardino? è gonfio di una domanda il ritratto: verso dove? Verso quale destino?
E a noi che sappiamo cos’è stato il Novecento, si stringe il cuore. Chissà da quanto, e come, è morta la bambina bella che sorrideva. (Chissà però che, nel suo infantile non sapere nulla, non fosse invece lei, ad avere capito davvero).

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