E anche stavolta le trivelle non c’entrano niente
«Mi sembra una tempesta in un bicchiere d’acqua», dice così a tempi.it Gianfranco Borghini a proposito delle recenti polemiche scoppiate sui nostri giornali a proposito di “trivelle” (perché la parola è tra virgolette ve lo spiegheremo tra poco). Borghini è stato il presidente del comitato che, in occasione del referendum del 2016, s’era prodigato per un’astensione consapevole (il referendum fallì, portando al voto solo il 31,19 per cento degli italiani). Anche in quella occasione, il lavoro di Borghini fu quello, innanzitutto, di spiegare i termini della questione al di là di ogni possibile allarmismo e catastrofismo.
LE TRIVELLE NON C’ENTRAVANO UN TUBO
Come si ricorderà, nel 2016 l’opposizione alle cosiddette trivelle era capitanata da ambientalisti e Movimento cinque stelle. Si parlava di trivelle, ma le trivelle non c’entravano nulla. Il referendum, infatti, riguardava la durata delle concessioni di quelle società che gestivano piattaforme offshore, cioè in mare aperto, oltre le 12 miglia. Le trivellazioni entro le 12 miglia erano già state bloccate per legge, e il referendum chiedeva solo se chi gestiva le piattaforme più vicine alla terraferma potesse andare avanti nell’estrazione fino all’esaurimento del giacimento o se dovesse interrompere la sua attività.
ESPLORAZIONI NON ESTRAZIONI
Ora l’argomento è tornato d’attualità perché gli ambientalisti si sono accorti che sul Bollettino ufficiale per gli idrocarburi e le georisorse, una pubblicazione del ministero dello Sviluppo economico, sono comparsi una serie di decreti che autorizzavano l’esplorazione alla ricerca di idrocarburi in tre aree del Mar Ionio. «Appunto – fa notare Borghini – si tratta di esplorazioni, non di trivellazioni. Siamo quindi alla richiesta da parte di due società di fare un’operazione molto preliminare rispetto alla vera e propria estrazione e, tra l’altro, se ho ben capito, in mare aperto».
Borghini è quindi assai sorpreso dal clamore. «Alla richiesta di esplorazione, il ministero non poteva che dire di sì. Solo dopo di essa, le due società presenteranno domanda di attività. Allora, in quel caso, si attiveranno tutte le procedure a norma di legge per arrivare all’estrazione, ma, ripeto, siamo ancora lontani, siamo solo nella prima fase».
L’AIR GUN
La vicenda ha assai agitato Luigi Di Maio e il ministero pentastellato dell’Ambiente Sergio Costa. «Almeno il ministro ha chiarito subito che si trattava di esplorazioni e non di trivellazioni, Di Maio, invece, ci ha messo un attimo, ma tant’è», dice Borghini.
Seconda tempesta nel bicchiere d’acqua: Di Maio ha anche detto che è intenzione dei cinquestelle «portare in Parlamento una norma che dichiara l’Air gun una pratica illegale e che renda sconveniente trivellare in mare e a terra». Ma anche su questo, precisa Borghini: «A parte che vorrei comprendere meglio cosa siano queste “trivellazioni a terra”, devo dire che l’Air gun è una tecnica usata anche dall’Istituto superiore di geologia per scandagliare e studiare la conformazione di un fondale marino o lacustre. È una tecnica che usa onde compressionali e bolle d’aria; è ampiamente utilizzata, non se ne comprende la demonizzazione».
NERVO SCOPERTO
La morale, secondo Borghini, è che si è sollevato «un polverone». Che, in realtà, è rivelatore di un problema politico all’interno del mondo grillino. Dopo aver promesso di bloccare tutto (dall’Ilva, alla Tav, fino alle trivelle), oggi al governo i pentastellati si ritrovano con più di un nervo scoperto sulle tematiche ambientali. Hanno soffiato sul fuoco dei peggiori istinti ambientalisti e ora ne pagano le conseguenze: «E adesso, ogni volta che sono in difficoltà se ne devono uscire dando la colpa ad altri. Anche stavolta sarà stata colpa di qualche “manina”?».
Foto Ansa
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