Dura il governo? Nemmeno gli “amici” ci scommettono più
Che sia l’ex leader del Pd passato in Mdp Pier Luigi Bersani a dire che «presto» il governo Conte-Di Maio-Salvini cadrà e «arriverà un altro Monti», non è una notizia. Ma che lo scriva – per motivi ovviamente diversi, se non opposti – anche Maurizio Belpietro nell’editoriale della Verità di oggi, beh, questo fa quanto meno riflettere, visto che finora il suo quotidiano è stato tra i più simpatizzanti nei confronti dell’esecutivo.
Quello che poteva ancora sembrare un gioco delle parti tra grillini e leghisti si sta trasformando in instabilità vera, a quanto pare. I segnali che lo dimostrano si moltiplicano. Stando al retroscena ricostruito da Francesco Verderami per il Corriere della Sera, perfino il ministro per gli Affari europei Paolo Savona (non proprio un esponente marginale del governo, considerato che nei desideri iniziali giallo-verdi avrebbe dovuto esserne il capo) adesso dice che «così non reggeremo a lungo» e che «non ha più senso andare avanti e la manovra è da riscrivere».
«MEGLIO CHE SI SALUTINO»
I retroscena valgono fino a mezzogiorno, si dirà. Vero. Non si può però sminuire altrettanto facilmente la netta presa di posizione di Marco Travaglio apparsa sull’edizione del Fatto quotidiano di due giorni fa. Benché dopo le elezioni del 4 marzo fosse tra i più convinti sostenitori di un esecutivo M5s-Pd, e sebbene sia rimasto fortemente critico verso Salvini e il Carroccio, Travaglio non ha schierato pregiudizialmente il suo giornale contro l’esecutivo. Ebbene, martedì 20 novembre invece il direttore del Fatto ha scritto che ormai, per il bene del M5s, è «meglio che Salvini e Di Maio si salutino».
Rileggere le parole di Travaglio è utile per capire l’umore della “base” grillina, dal momento che ne è uno dei principali punti di riferimento politico-intellettuali.
«Dopo il 4 marzo ho sostenuto, programmi alla mano, che la coalizione meno eterogenea sarebbe stata quella fra i 5 Stelle e un Pd rinnovato. Poi però il Pd, pur di non rinnovarsi, s’è arroccato sull’Aventino, rendendo irrilevante se stesso e inevitabile il Salvimaio. Così è nato questo strano – e per molti versi innaturale – governo giallo-verde. (…) E noi del Fatto ci siamo regolati come sempre: ci siamo letti il “contratto” di programma. E vi abbiamo trovato molti punti comuni alle nostre battaglie, ben più numerosi di quelli che non condividevamo (…) Finché ha retto quell’equilibrio – prevalenza di cose giuste su quelle sbagliate – all’Italia conveniva farsi governare dal Salvimaio per qualche anno».
«IL CAMBIAMENTO NON C’È PIÙ»
Tutto bene per qualche mese. Poi, secondo Travaglio, la Lega avrebbe tradito il contratto di governo su più fronti:
«Mille freni alla revisione delle concessioni ad Autostrade & C. La difesa del precariato contro il pur blando dl Dignità. Lo scudo alla grande distribuzione dalle sacrosante chiusure domenicali a rotazione. La tutela degli inutilissimi e costosissimi Tav, Terzo Valico e Pedemontana. (…) Condoni fiscali e ostruzionismi vari sul blocco della prescrizione, le manette agli evasori, la legge sul conflitto d’interessi, la trasparenza sui fondi ai partiti».
Insomma Travaglio vede una «ammucchiata dei Gattopardi» che «avanza a tappe forzate per neutralizzare qualunque cambiamento e punta proprio su Salvini per salvare rendite, privilegi e soldi pubblici». Morale?
«Senza cambiamenti, il “governo del cambiamento” non c’è più. (…) Ma ora un’alternativa c’è: il fronte della conservazione e della restaurazione che affratella la Lega a quel che re- sta di Pd e FI».
LA DOMANDA
Come detto, comunque, dal punto di vista di chi simpatizza per il governo ma “lato Lega” il quadro non appare molto migliore. Cosa scrive infatti Belpietro?
«Siamo stati i primi a segnalare che, in assenza di qualcuno che in Parlamento si contrapponesse alle iniziative del governo, Lega e 5 stelle avrebbero fatto da soli, interpretando due parti in commedia. Matteo Salvini e Luigi Di Maio, infatti, più che alleati in queste settimane appaiono a turno i leader della maggioranza e dell’opposizione (…) con la Lega che attraverso il proprio leader insisteva sui temi dell’immigrazione e poi, dopo aver incassato i primi risultati, passava all’opposizione, chiedendo a gran voce un condono fiscale che contentasse i propri sostenitori. Dall’altra parte Luigi Di Maio, a seguito della rassicurazione di una rapida entrata in vigore del reddito di cittadinanza, non poteva tacere godendosi il risultato. Dunque, indossati i panni del contestatore, il vicepremier si è messo a sparare sulla Tav, mostrando i muscoli sulla prescrizione».
Secondo il direttore della Verità «finora il gioco ha funzionato». Non a caso i sondaggi «nonostante la bocciatura della manovra da parte dell’Europa» e nonostante la «fiammata dello spread», rilevano che «il consenso del governo nel suo insieme resta alto», intorno al 60 per cento degli elettori se si sommano Lega e 5 stelle. Tuttavia, mentre prosegue questo «balletto» continuo, Belpietro vede montare un interrogativo tra gli italiani: Salvini e Di Maio «dureranno e, se dureranno, per fare che cosa?».
Si legge ancora nell’editoriale:
«Nelle scorse settimane avremmo giurato che, nonostante tutto, Salvini e Di Maio avrebbero fatto ogni cosa per tenere duro, ma adesso, dopo i ripetuti scontri e le false partenze, non metteremmo la mano sul fuoco sulla tenuta della maggioranza».
LO SCENARIO POSSIBILE
E se davvero questa maggioranza dovesse esplodere? Difficile che si vada a elezioni. I grillini, ricorda Belpietro, «hanno una ragione fortissima per non provocare una crisi che costringa il capo dello Stato a sciogliere il Parlamento», e la ragione è che molti di loro «non potrebbero candidarsi a un terzo mandato», Di Maio compreso. «Anche la Lega – continua il direttore della Verità – potrebbe ritenere poco furbo staccare la spina, perché tra i 5 stelle potrebbe prevalere l’idea di far salire il Pd sull’autobus di Palazzo Chigi».
Inoltre possono sempre materializzarsi altri scenari come rimpasti o formazioni di maggioranze alternative (oltre a M5s-Pd c’è anche Lega-centrodestra-responsabili pentastellati). In ogni caso, però, conclude Belpietro,
«se questo governo cadesse, come al solito la parola non tornerebbe agli elettori, ma ai partiti, i quali potrebbero fare ciò che hanno sempre fatto, ossia tenere duro prima di confrontarsi con gli italiani. Magari varando un governo tecnico alla Monti».
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