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Dopo il matrimonio gay, cosa c’è nell’agenda Lgbt? Ovvio, il “poliamore”. La Nuova Zelanda conferma un trend

Il Comune di Auckland ha deciso di sovvenzionare un convegno di «persone Lgbti che contestano i matrimoni e le relazioni monogamici». Del resto è questa «la prossima rivoluzione sessuale» dopo le nozze gay

Benedetta Frigerio
12/06/2014 - 2:00
Esteri
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In Nuova Zelanda, dove il matrimonio omosessuale è legale da più di un anno, il movimento arcobaleno si sta già spingendo oltre, promuovendo il “poliamore” (ovvero le unioni fra più di due persone), per altro a spese dei contribuenti. Il Comune di Auckland ha infatti deciso di sovvenzionare una conferenza intitolata “Poly Panel” e dedicata proprio al poliamore “queer”, un tema importante secondo gli attivisti gay perché – si legge nell’invito all’evento – «oltre a contestare l’eteronormatività, molte persone Lgbti mettono in discussione i matrimoni e le relazioni monogamici».

RIVOLUZIONE? Il sussidio pubblico alla conferenza, concesso attraverso il Rainbow Door Fund, istituito dall’amministrazione della città appunto per «migliorare la vita delle persone Lgbti», ha scatenato molte proteste. Così come è fonte di polemiche la stessa rivendicazione al centro del dibattito, anche per via delle gravi conseguenze sociali che comporta, non ultima l’apertura di fatto alla tanto vituperata poligamia. Del resto già nel 2009 il settimanale americano Newsweek dedicò un servizio a un gruppo di cinque conviventi bisessuali (tre uomini e due donne) per avvertire che il poliamore sarebbe diventato «la prossima rivoluzione sessuale» dopo quella gay (Tempi ha parlato per la prima volta del “movimento poliamoroso” in questo articolo di Rodolfo Casadei).

SE L’AMORE DETTA LEGGE. A tentare di spiegare accademicamente come la campagna per il matrimonio fra persone dello stesso sesso comporti in qualche modo un’apertura verso altre unioni di tutti i tipi sono stati nel 2011 tre docenti di Princeton e della Notre Dame in uno studio intitolato “What is Marriage?” (Che cos’è il matrimonio?) pubblicato sull’Harvard Journal of Law and Public Policy: «Supponiamo – si legge nell’articolo – che i riconoscimenti legali del matrimonio valgano anche per le coppie dello stesso sesso secondo l’idea dei revisionisti, per cui, se non li si riconosce, si discrimina chi si unisce per amore. [Se questo fosse vero] la nostra legge discriminerebbe anche le unioni aperte, temporanee, poligamiche, incestuose o animali. Dopotutto, le persone possono avere un desiderio romantico e sessuale per più persone, per i propri parenti o per partner non umani». Naturalmente l’articolo finì al centro di una disputa furibonda e i tre furono accusati di intolleranza dagli attivisti Lgbt, ma già all’epoca ci stava pensando la cronaca a confermare la loro tesi.

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I “PIONIERI”. In Olanda la prima unione poliamorosa a tre era stata formalizzata addirittura nel 2005, quando Victor de Bruijn, sposato con Bianca, si recò dal notaio per includere Mirjam in quella che l’uomo presentò come la prima unione civile a tre della storia olandese. In realtà si trattava di un contratto di coabitazione, ma i media rilanciarono volentieri la definizione di Victor e così la battaglia del movimento Lgbt per i “diritti” dei poliamorosi poté cominciare.
In Gran Bretagna, dove il matrimonio gay è stato legalizzato nel luglio del 2013, il Guardian ha “sdoganato” le relazioni multiple alla fine dell’anno scorso per voce di James Norman, che ha raccontato di molti amici che «mi parlano della gioia di intraprendere relazioni poliamorose basate sull’amore e il rispetto». Mentre negli Stati Uniti già nel 2012, pochi mesi dopo le prime dichiarazioni pubbliche a favore della legalizzazione delle nozze omosessuali da parte di Barack Obama, c’era già chi dava per vinta anche la battaglia per il poliamore: per esempio Julia e Jim Janousek, una coppia di Minneapolis, che hanno dichiarato alla stampa di avere “aperto” da tempo a un terzo uomo il loro matrimonio, ma «senza farne un dramma», neanche rispetto ai figli, poiché tanto, «quando andranno all’università, questo non sarà più visto come un grande problema».

LA SENTENZA. Sempre in America, per altro, è stato un giudice federale dello Utah, Clark Waddoups, a collegare indirettamente la battaglia per i diritti gay a quella per i diritti dei poligami. Come ha spiegato il New York Times il 14 dicembre scorso, il giudice ha dichiarato incostituzionali alcune parti della legge che proibisce la poligamia nello stato, dando ragione a Kody Brown, un mormone che ha quattro mogli e diciassette figli (sono i protagonisti del reality show televisivo Sister Wives). In particolare Waddoups ha abrogato la norma che vieta la “coabitazione”, non quella che vieta il matrimonio poligamico «nel senso letterale», ovvero il possesso di più certificati di nozze. Il motivo? Il giudice ha citato verdetto della Corte suprema nel caso “Lawrence contro lo Stato del Texas” del 2003, che cancellò la legge contro gli atti omosessuali perché la Constitution protegge le persone «dalle intrusioni ingiustificate del governo nella propria dimora o in altri luoghi privati» e «l’autonomia degli individui comprende la libertà di pensiero, di fede, di espressione e di comportamento intimo».

@frigeriobenedet

Tags: dirittigaylgbtMatrimoni Gaynozze gaynozze omosessualinuova zelandaomosessualitàpoliamorepoligamia
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