Lettere al direttore
Dissonanza 10
ai pochi che camminavano e pregavano
per i morti ucraini e per i morti russi,
(o forse bisognerebbe dire tanti,
visti i tempi che corrono
e, correndo all’indietro,
stanno fermi come non mai)
il nostro Vescovo ambrosiano
si rivolse in questo modo:
Noi preghiamo,
facciamo questa Veglia,
ed è bello,
ma chi ci ascolta?
Nessuno ci ascolta.
Nessuno o quasi nessuno.
Ci ascolta Dio,
e non è cosa da poco,
e qualche sparuto
e inaspettato Povero di Spirito.
Forse, aggiungo io,
anche per la nostra timidezza,
per le nostre voci
flebili
impaurite
incerte;
per le nostre calcolate cautele.
Perché non v’è più chi gridi!
Veramente non è tempo
questo
in cui sorga facilmente
un qualche Spartaco!
Ma c’è dell’altro,
non è tutto qui,
non finisce qui
quel che si deve dire.
Anche quando una voce
si alza, senza timore,
chi l’ascolta?
Chi l’ascolta tra quelli che,
in questi tempi di fuoco
e di buio,
si appellano alla perduta
virilità dell’Occidente?
Non dico i nemici dell’Occidente,
ma quelli che l’Occidente dicono
di rappresentare.
Questi ragionano solo per rapporti di forza,
conferenze di pace,
una nuova Jalta, una soluzione diplomatica,
oppure la guerra, l’unica opzione,
distruggere Hamas
e magari liquidare anche l’Iran
con le cattive,
perché con le buone non si può.
E non sbagliano nella loro logica.
Per costoro, per questi difensori
dell’Occidente,
non per i liquidatori dell’Occidente,
(quelli potremmo anche capirli)
per quelli che saprebbero cosa fare,
come risolvere le cose,
o almeno come metterci una pezza,
la presenza della Chiesa,
specialmente nelle terre martoriate
in cui si piangono lacrime e sangue,
la presenza dei cristiani che vivono lì,
non è solo minoritaria,
quindi debole,
quindi ininfluente,
ma non conta nulla,
non serve a nulla.
Neppure merita di essere ascoltata,
neppure ci si disturba per sapere cosa ha da dire.
Hanno fatto così con i Papi,
sistematicamente,
nei quarant’anni
di cui mi ricordo;
fanno così con quel duepercento
di cristiani che vivono
in quella Terra che si dice Santa.
Una nullità, un niente,
un foruncolo, un fastidio
sulla dura cotenna della bestia
che a fatica si tira dietro
il carro dolente della storia.
Eppure senza questo niente,
neppure ci sarebbe la Storia!
ma gli intelligenti,
i furbi,
gli scaltri
non ci pensano,
a questo non pensano proprio.
E se anche ci fosse una Storia
sarebbe una fanciulla disperata,
vittima senza scampo
della follia sanguinaria
del Male, il nostro,
quello che tanto ci attrae.
Sarebbe veramente, la vita,
una favola raccontata da un idiota
In un accesso di furore.
E neppure ci sarebbe Occidente
o civiltà o cultura o pittura
o musica o letteratura.
Non ci sarebbe niente
di quel che chiamiamo grande.
Niente di niente.
L’Armenia, dicono i profughi
fuggiti dal Nagorno,
non dovrebbe neppure esistere più.
La sua ostinazione a vivere
è illogica, inspiegabile,
un errore della storia.
Esiste perché c’è Dio.
Esiste perché c’è la Fede.
Come erano niente i primi discepoli,
e meno che niente la Croce,
obbrobrio, scandalo, ignominia.
Perché stupirsi
se il duepercento cristiano
della Terra Santa non interessa
a nessuno,
se a nessuno viene in mente
di interpellarli,
di starli a sentire,
di includerli nei loro ragionamenti
quando chi può,
quando chi deve
si trova a decidere,
o non decidere,
che cosa fare?
Un servo non è più grande del suo padrone.
Se hanno perseguitato Me,
perseguiteranno anche voi.
Se mi hanno zittito, deriso e irriso,
se mi hanno tolto di mezzo
perché stupirvi se tolgono di mezzo
anche voi, con le cattive
o con le buone maniere.
Eppure questo niente,
senza del quale il mondo sarebbe niente,
continua ad amarlo, questo mondo,
continua ad amarli questi uomini.
E lo fa vivendo,
lo fa essendoci,
non smettendo mai di vivere
e di dire
e di farsi presente.
Quando sei in minoranza,
devi essere propositivo:
non devi difenderti o proteggerti.
Credo sia questo l’errore che i cristiani hanno spesso commesso
in Medio Oriente.
(Soltanto lì?)
La cosa importante è non cercare delle protezioni,
ma fare proposte.
Che, ovviamente, possono essere accettate o respinte,
ma segnano la presenza vivace dentro il territorio.
Senza paura, con serenità, con passione
e – perché no? – con la fierezza
della propria identità e tradizione.
(Cardinale Pierbattista Pizzaballa citato in un articolo del quotidiano Domani del 23 ottobre 2023)
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