
La preghiera del mattino (2011-2017)
Daoud, i serpenti e la finta libertà dei primati
«Sono rimasta molto colpita dalla lettera dello scrittore algerino Kamel Daoud in cui spiega le ragioni del suo ritiro dal mondo giornalistico». Esordisce così, in un commento pubblicato oggi sul Corriere della Sera, Susanna Tamaro. La scrittrice commenta il caso del giornalista-scrittore algerino che, dopo le critiche a un suo articolo sul “porno-islamismo”, ha detto essere sua intenzione non scrivere più sui giornali.
La riflessione di Tamaro si estende poi al suo caso personale e, più in generale, alla difficoltà, nel mondo d’oggi, di riuscire a esprime opinioni controcorrente, che si distanzino dal mainstream. «Stai con me o contro di me? Questa è l’ampiezza di pensiero che viene concessa nei nostri iper-democratici tempi, ed è un’ampiezza che un solo sbocco: se non stai con me, non hai il diritto di esistere». Anche a Tamaro, che si definisce una “non provocatrice”, è purtroppo capitato di subire la medesima gogna di Daoud: «Può capitare negli anni, come è successo a me, di essere insultati per strada, di ricevere minacce di morte, di vedere sconosciuti uscire da librerie o dallo scompartimento di un treno, manifestando verbalmente l’obbrobrio della mia vicinanza».
Conclude Tamaro:
Che società è, mi chiedo, una società che non più in grado di elaborare ragionamenti complessi, che deride e distrugge tutto ciò che ha una lontana parentela con quelli che, fino ad adesso, sono stati i fondamenti della vita umana? La risposta è abbastanza facile. È una società che si tribalizza. Ho il fondato sospetto che questo trionfo della libertà individuale, anziché condurci nell’agognato Parnaso dell’uomo senza più gioghi, rischi di riportarci direttamente al primate che sonnecchia in noi. Primate che strilla se vede un serpente e che, con il suo strillo, mette in allarme i suoi simili, facendo strillare tutto il branco che il serpente non lo vede. Primati teneramente dolci, ma capaci di provare anche la gioia e la ferocia dell’assassinio fine a sé stesso, come annota in splendide pagine di doloroso stupore Jane Goodall, nella sua autobiografia. Una società in cui i comportamenti atavici hanno il sopravvento su qualche migliaio di anni di cultura e di civiltà è una società dall’orizzonte sempre più basso. E gli orizzonti bassi, di solito, generano realtà in cui la vita non è particolarmente piacevole.
Foto Ansa
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Si chiamano i SENZA DIO coloro che si comportano così, in stile orangotango. Digeriti, tollerati, sopportati dagli amici di Dio, gente “superiore”.