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«Dalla tragedia di Samuel Paty non è cambiato nulla»

Un anno fa l'assassinio del professore francese per mano di un un islamista. «Il problema si chiama “jihadismo d’atmosfera”», il virus estremista che circola sul web ed è alimentato dagli “imprenditori della collera”

Mauro Zanon
16/10/2021 - 6:25
Esteri
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Fiori per Samuel Paty, il professore francese ucciso da un estremista islamico il 16 ottobre 2020
Fiori per Samuel Paty, il professore francese ucciso da un estremista islamico il 16 ottobre 2020

Parigi. Conflans-Sainte-Honorine, a nord-ovest di Parigi, era un comune senza storia, un sobborgo tranquillo come tanti nell’immensa banlieue che cinge la capitale francese. Fino al pomeriggio del 16 ottobre 2020, quando un islamista radicale di origini cecene, Abdoullakh Anzorov, decapitò in mezzo alla strada un professore di storia e geografia, Samuel Paty, colpevole di aver mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo su Maometto, di aver insegnato la laicità e l’amore per le libertà ai suoi studenti.

Minuti di silenzio, dibattiti in classe, proiezioni di documentari sui valori della République, targhe commemorative, tutte le scuole di Francia, ieri, hanno reso omaggio al professor Paty, martire del libero pensiero ucciso barbaramente perché faceva il suo mestiere.

Un atto d’accusa all’Éducation nationale

Ma cos’è cambiato in Francia da quella tragedia immane, dall’ennesimo attentato di matrice islamista dopo gli attacchi contro Charlie Hebdo e il supermercato kosher Hyper Cacher del gennaio 2015?

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Lo scrittore francese David Di Nota ha appena pubblicato J’ai exécuté un chien de l’Enfer. Rapport sur l’assassinat de Samuel Paty (Le Cherche-Midi), un libro che ricostruisce il meccanismo infernale che ha portato alla decapitazione del professore di storia e geografia del collège du Bois d’Aulne, ma anche un atto d’accusa verso l’Éducation nationale, il ministero dell’Istruzione e tutto il mondo scolastico, che continua a negare le difficoltà incontrate dagli insegnanti in certe realtà, dove le pressioni islamiste sono sempre più insistenti.

Dovere di verità

«Non può esserci un prima e un dopo Samuel Paty se non si descrive correttamente e in maniera onesta il ricatto islamista di cui è stato vittima e il meccanismo infernale in cui si è ritrovato e che ha precipitato la fine di cui tutti siamo a conoscenza», ha dichiarato David Di Nota alla radio Europe 1, evocando un «dovere di verità» senza il quale la Francia non ne uscirà mai.

Per lo scrittore francese, la decapitazione «non ha affatto cambiato l’atteggiamento dell’Éducation nationale», c’è un’autocensura diffusa che non permette di dire le cose come stanno, per esempio di parlare dell’imperdonabile errore degli ispettori del ministero che invece di proteggere Paty lo hanno accusato di «non padroneggiare il concetto di laicità nel momento in cui era vittima di una campagna d’odio e di minacce fisiche da parte degli islamisti».

Il ballo degli ipocriti

La presa di posizione di Di Nota si iscrive in una lunga scia di libri e inchieste volte a sollecitare l’opinione pubblica sul separatismo islamico in corso in certi territori della République (il primo libro su questo tema, uscito nel 2002 ad opera dello storico Georges Bensoussan, si chiamava Les Territoires perdus de la République) e sulla vita sotto il peso di una fatwa di cittadini comuni, come Didier Lemaire, professore di filosofia costretto a vivere sotto scorta per aver denunciato l’incursione dell’islamismo nella città in cui insegna, Trappes.

«Dalla tragedia di Samuel Paty non è cambiato nulla», ha reagito su Europe 1 Didier Lemaire, prima di aggiungere: «Assistiamo al ballo degli ipocriti perché la verità sulle responsabilità dell’istituzione in questo assassinio non è ancora venuta a galla. Secondo il rapporto dell’Éducation nationale, il referente del ministero per la laicità ha messo in discussione il lavoro dell’insegnante».

Il jihadismo d’atmosfera

Assieme alla pusillanimità delle istituzioni e di certi politici locali che, per clientelismo elettorale, hanno stretto patti diabolici con l’islam politico, il problema si chiama “jihadismo d’atmosfera”, che non è un problema esclusivamente francese, ma è soprattutto francese.

La formula è dell’islamologo e professore della Sorbona Gilles Képel e descrive quel virus estremista che circola sul web, ha un alto tasso di contagiosità tra i giovani islamici e viene alimentato dagli “imprenditori della collera”, gli stessi che hanno aizzato sui social la rappresaglia contro Paty.

«Anzorov non apparteneva a nessuna rete, contrariamente agli autori degli attentati commessi negli scorsi anni, spesso rivendicati dallo Stato islamico», spiega Képel, prova che esiste «un’atmosfera creata da alcuni imprenditori della collera».

Anche il tunisino Brahim Aouissaoui, autore dell’attentato alla Basilica di Notre-Dame di Nizza del 29 ottobre 2020, è un prodotto del “jihadismo d’atmosfera”: non è stato pilotato da nessuno, non aveva nessuna rete organizzata alle spalle e nel suo smartphone aveva la foto di Anzorov. Per l’islamologo, siamo entrati in una nuova fase del jihadismo, e la Francia è il paese europeo che sta pagando le peggiori conseguenze.

Foto Ansa

Tags: FranciaIslamjihadismosamuel paty
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