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Da Scamarcio alla Golino, ecco la sfilata dei Vip anti paritarie a Bologna. Tutta gente “ferratissima” sul mondo scuola

Accorrono tutti a sostenere il referendum per abolire i finanziamenti comunali alle scuole dell’infanzia. Però non dicono una parola sui finanziamenti pubblici a giornali, teatri, film, tv

Ernesto Mainardi
22/05/2013 - 7:20
Interni
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Guardando alla corsa di tanti Vip nel sottoscrivere il manifesto del referendum di Bologna, per abolire i finanziamenti comunali alle scuole dell’infanzia paritarie private, vien da chiedersi cosa li spinge a impegnarsi con tanta decisione in questa battaglia politica.

A Stefano Rodotà, Andrea Camilleri, Angelo Guglielmi, Sabina Guzzanti, Carlo Freccero, Moni Ovadia, Ivano Marescotti, Corrado Augias e altri, in questi giorni si sono aggiunti Riccardo Scamarcio, Neri Marcorè, Michele Serra, Philippe Daverio, Amanda Sandrelli. Evidentemente, tutte persone ferratissime sull’organizzazione di un sistema scolastico moderno, e, in particolare, sul sistema integrato delle scuole dell’infanzia del Comune di Bologna.

Va subito rilevato che nel campo opposto, quello dei favorevoli ai finanziamenti pubblici alla scuola paritaria, non risaltano nomi così importanti del mondo dello spettacolo, dell’editoria, del giornalismo. Forse, in questo campo, che dovrebbe comprendere soprattutto liberali e cattolici, gente che crede alle opere messe in piedi dalla società civile – come appunto la maggior parte delle scuole materne private di Bologna -, non ci si ritiene competenti su “tutto” e perciò si firma solo ciò che riguarda le proprie competenze. O, forse, c’è un po’ di timore a esporsi contro tutto l’establishment culturale che sta decisamente dall’altra parte. Un establishment che, però, quando gira l’Europa e il mondo, deve guardarsi bene dal parlare di scuola e finanziamenti pubblici. Infatti, negli altri Paesi la situazione italiana non verrebbe capita, visto che  ovunque all’estero l’insegnamento non statale viene finanziato senza problemi, coprendone anche il 100 per cento dei costi (non l’1 come in Italia!).

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Un agile vademecum del Comune di Bologna spiega, in vista del referendum, come è organizzata la scuola dell'infanzia in città, rispondendo alle domande dei cittadini. Il primo dato che balza subito all'occhio è che a Bologna, diversamente dal resto d'Italia, il 60 per cento delle scuole per l'infanzia sono comunali, il 23 per cento private e il 17 statali.
Il Comune di Bologna investe 37,76 milioni di euro nel sistema pubblico integrato: 35,5 milioni vanno agli asili comunali, 1,11 milioni di euro vanno alle private paritarie e 1,14 milioni di euro alle scuole statali.
A Bologna ci sono 9.131 bambini tra i 3 e i 6 anni; i posti disponibili sono 8.988: questo significa che la città può offrire un posto al 98,4 per cento di loro. Nelle scuole comunali (che sono 70) trovano posto 5.327 bambini, 1.611 in quelle statali (25), 1.825 nelle private convenzionate (27) e 225 in private non convenzionate (5). Le convenzioni con le scuole private paritarie sono state introdotte nel 1994, grazie alla legge Berlinguer, per ampliare l'offerta di posti disponibili.
Le scuole private paritarie ricevono 1,11 milioni di euro dal Comune grazie alla convenzione in vigore da 18 anni e così possono offrire un posto a 1.730 bambini. Il contributo da un milione non corrisponde al costo della scuola paritaria privata convenzionata, bensì al contributo per le spese di funzionamento, per migliorare gli standard qualitativi e abbassare le rette così da renderla più accessibile a tutti. Si tratta di un contributo che fa risparmiare la collettività. Esclusa la costruzione degli edifici, infatti, queste scuole costerebbero 12 milioni di euro l'anno se a gestirle dovesse essere il Comune. Ma si tratta di una cifra che lo Stato non eroga.
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Certo è che quello delle sottoscrizioni, cui stiamo assistendo in questi giorni, è un sistema datato tutto italiano e legato all’esistenza dei regimi comunisti al di là della cortina di ferro, tipico di una certa sinistra nostalgica: continua a ripetere le stesse modalità di arruolamento degli intellettuali usate soprattutto qualche decennio fa. Tanto è vero che Carlo Freccero, direttore di Rai4, firmatario, evoca una eventuale sconfitta dei referendari come una nuova “caduta del muro di Berlino”, rimpiangendo evidentemente tale artistica costruzione.

Questi personaggi con determinazione si dichiarano contro i finanziamenti pubblici alle scuole private, ma non hanno il minimo dubbio sulla liceità dei ben più sostanziosi finanziamenti pubblici a favore di giornali, teatri, film, senza contare la voragine dei deficit della televisione pubblica. Da una parte perciò lo “scandalo” per i 600 euro destinati dal Comune di Bologna per ogni bambino fra i 3 e i 6 anni che entra in una scuola dell’infanzia non statale, dall’altra il silenzio su come, solo grazie alle tasse pagate dai cittadini allo Stato, vengono mantenuti i loro settori di attività culturale. Se giornali, teatri, cinema e televisione in Italia dovessero sopravvivere solo con gli introiti versati liberamente da chi ne acquista i servizi, sarebbero probabilmente spariti da tempo.

E questa sarebbe una grave e inaccettabile perdita di ricchezza culturale per il nostro Paese, così come lo è la chiusura di qualsiasi scuola non statale. Questa costituisce la varietà e la pluralità di esperienze educative e pedagogiche che, insieme a quelle statali, contribuiscono a formare da secoli il nostro popolo. Limitare la libertà, soprattutto in campo educativo, significa soltanto far del male alla società e al nostro futuro.

Ernesto Mainardi, Consigliere nazionale AGeSC

Tags: agesccarlo frecceromichele serraMoni Ovadiareferendumreferendum scuole bolognarodotàsabina guzzantiscamarcio
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