Good Bye, Lenin!

A Cuba non si accontenteranno delle “cipolle” castriste

Di Angelo Bonaguro
02 Agosto 2021
Dopo le proteste il governo punta a riempire la pancia della gente, «come se 1 kg e mezzo di riso in più significasse la libertà e i diritti umani che chiediamo». Oltre 900 i casi di arresti e persone scomparse
Cuba, le proteste dell’11 luglio 2021 a L’Avana contro la dittatura
Cuba, le proteste dell’11 luglio 2021 a L’Avana contro la dittatura (foto Ansa)

A tre settimane dalle manifestazioni dell’11 luglio, a Cuba il governo punta a riempire la pancia della gente per calmare le acque. È arrivata la Volante Rossa degli aiuti umanitari dai paesi politicamente amici: il ministro del Commercio ha affermato che la distribuzione sarà «gratuita», una precisazione apparentemente inutile ma importante per rassicurare la popolazione che le tonnellate di prodotti inviati da Russia, Messico, Bolivia, Venezuela e Nicaragua non verranno rivendute, come già successo nei mesi scorsi con l’olio donato dalla Russia.

Sbarcano latte in polvere, cereali, farina, tonno e carne in scatola, olio, addirittura lo zucchero! – nemmeno fosse un paese del Sahel. Da parte sua, il regime ha immesso sul mercato anche aragoste e gamberetti, prodotti assenti da anni. Per gli amanti della svolta “green”, i pannelli solari si potranno importare senza dazi, anche se forse sarebbe stato più urgente garantire il carburante alle ambulanze. Infine l’ente unico per le telecomunicazioni ridurrà le tariffe per l’uso di internet, dopo aver dimostrato quanto sia facile oscurare la rete nei momenti politicamente critici.

Da Messico e Russia arrivano anche siringhe, bombole di ossigeno e mascherine. Sono lontani i tempi dell’invio all’estero di équipes mediche cubane per aiutare a fronteggiare il Covid: nelle ultime settimane si sono toccati 9.000 nuovi casi al giorno, 2.000 nella sola capitale, molti dovuti al fatto che è stato permesso l’ingresso ai turisti russi.

Il ministero del Commercio ha ricevuto una pioggia di critiche sui social dopo aver promesso la distribuzione di 1 kg e mezzo di riso al mese a persona, per «soddisfare le esigenze della popolazione, mentre l’imperialismo sta cercando di fomentare irritazione e creare problemi al popolo» e, naturalmente, «ha una grave responsabilità per ciò che sta accadendo». Senza un nemico infatti la «rivoluzione» è bell’e finita. «Come se 1 kg e mezzo di riso in più significasse la libertà e i diritti umani che chiediamo», ha commentato qualcuno.

E qui sta la cecità e l’ostinazione di un regime che cerca di offrire la carota dopo aver usato il bastone: le organizzazioni umanitarie denunciano oltre 900 casi tra arresti e persone scomparse, fra cui una ventina di minorenni. Trapelano notizie di maltrattamenti e minacce da parte delle forze dell’ordine, e c’è chi preferisce non sporgere denuncia per evitare ulteriori ritorsioni. È una mossa sbagliata secondo la pubblicista Yoani Sánchez, perché «il regime si accanisce su chi sta in silenzio».

«Molti di coloro che in precedenza dubitavano delle vittime – prosegue Sánchez – dicendo che si erano inventate tutto e che cose del genere non potevano succedere su quest’isola, ora hanno un figlio o una nipote rinchiusi in attesa di un giudizio sommario, per essere semplicemente scesi in strada a chiedere la libertà o per aver ripreso la rivolta con il cellulare. A volte devi provare per credere, sperimentare in prima persona per immedesimarti con un’altra vittima, e infilare il dito nella piaga per renderti conto che esiste». E conclude: «È tempo di collaborare, e di sostenere le nuove vittime della repressione, non importa se una volta hanno dubitato dell’orrore vissuto da altri».

Anche nei palazzi del potere la situazione non dev’essere allegra, se nel giro di una decina di giorni sono morti ben sei generali, non si sa per quale ragione, e sono stati tutti immediatamente cremati. Epurazioni? Divergenze politiche? In effetti ci sono stati casi di ufficiali contrari alle repressioni.

C’è da augurarsi che i cubani non si accontentino delle “cipolle” castriste, perché erano in tanti a scandire “libertà!” in tutta l’isola. La crisi economica e sanitaria è certamente un motivo valido per protestare, ma la ragione principale che ha mosso la gente «è il desiderio di libertà – ha ribadito Sánchez, – la speranza di vivere in un paese che ci offra opportunità, e la paura di diventare ombre deboli e silenziose come quelle di chi ci ha preceduto. I cubani hanno assaporato il gusto della libertà, non si torna indietro».

«Respira, la speranza respira», ha scritto il musicista Pavel Urkiza nella sua canzone Todo por ti, scritta dopo l’11 luglio e dedicata a Cuba.

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