Qual è l’errore fondamentale della risposta anti crisi dell”Europa? «L’insistenza sull’austerità» cioè «la convinzione che la crisi del debito debba essere risolta ripagando il debito». Wolfang Münchau, editorialista del Financial Times, torna a parlare di Italia e Mario Monti (lo aveva già fatto qui). Questa sera una sua intervista andrà in onda su Rete4 alla trasmissione “La grande speculazione”, a cura di Alessandro Banfi (l’intervista integrale a Munchau è oggi riportata dal Foglio).
Da tempo, il giornalista tedesco si mostra estremamente critico nei confronti delle politiche economiche e fiscali europee e nazionali di Angela Merkel e Mario Monti, che, secondo Münchau, «hanno sbagliato i conti».
«Se tutti ripagano i debiti nello stesso momento in un periodo in cui l’economia è in calo – dice – si rischia di finire in una recessione che si auto perpetua». «È ciò che sta accadendo – esemplifica – all’Italia, che è entrata in un programma di riduzione del debito, con l’austerità, ma il cui governo ne ha sottovalutato l’impatto».
BERLUSCONI HA ECONOMICAMENTE RAGIONE. Per Münchau la recessione è causata dall’austerità, quindi in futuro «ci sarà un altro programma di austerità a meno che non cambi la politica». Questo è ciò che accadrebbe all’Italia, secondo l’editorialista, se si continuasse con la politica montiana. «È interessante che Berlusconi stia facendo campagna sulle misure anti austerità, che sono ragionevoli dal punto di vista economico». «È difficile per me dire che si dovrebbe votare per Silvio Berlusconi, ma, la sua, economicamente parlando, è una strategia sensata».
«Io farei esattamente la stessa cosa», dice. «Tagliare le tasse, tagliare le tasse, tagliare le tasse…. taglierei anche una parte di spesa e guarderei alle riforme strutturali». «Questo Berlusconi lo può fare» afferma. «Tagliare le tasse è un provvedimento popolare», poi si dovrebbe «sfruttare la popolarità come capitale per attuare le riforme strutturali». Questa è la proposta economica migliore, secondo l’editorialista del Financial Times, che la promuoverebbe «per rivitalizzare l’Italia, per riportarla alla crescita». «Con una crescita del 3 per cento», nessun investitore «si preoccuperebbe del debito», è la sua deduzione.
LE RAGIONI POLITICHE DIMERKEL. Per Münchau, le mosse di Angela Merkel non sono dettate da una riflessione sull’economia. La sua «riluttanza a risolvere la crisi velocemente» è dovuta a uno spiccio ragionamento politico. «In Germania non c’era appoggio per una risoluzione veloce della crisi, perché ciò avrebbe comportato alla creazione degli Eurobond, i titoli europei». Dunque ha preferito tergiversare. Anche se «dal punto di vista economico questa scelta è un disastro», «in una prospettiva politica, è meglio reagire a una crisi come questa lasciando che si risolva da sola» e «nell’arco di molti anni».
La colpa più grande della Merkel, però, è quella di non spiegare ai suoi concittadini che «questa crisi costerà loro denaro e che c’è uno scambio necessario tra lo stare nell’euro e il doverlo pagare, finanziare». Per ora, invece, ad allentare la tensione sui debiti c’è soltanto la Banca centrale. E questo «sembra essere il modo in cui stiamo effettivamente risolvendo la crisi: attraverso una qualche forma di finanziamento monetario, anche se ciò viene negato».
IL SALVATORE DELL’ITALIA? DRAGHI. «È evidente che è stato Draghi a salvare l’Italia dal baratro», e non Mario Monti. I mercati non hanno «provato un interesse particolarmente grande per le minuzie delle politiche fiscali e strutturali dell’Italia» varate da presidente del Consiglio. Il premier rappresentava, in un momento di forte crisi politica, una persona «sufficientemente seria» per «allontanare il panico». Ma non ha funzionato più di qualche mese in cui lo spread è comunque rimasto alto. Poi, in estate, è di nuovo risalito ai livelli della crisi politica che aveva colpito il paese alla fine del precedente governo. Fu proprio nell’estate del 2012, quando lo spread raggiunse il picco che ci fu il «vero cambiamento», dovuto alla «promessa da parte della Banca centrale di agire infine da prestatore di ultima istanza». Ciò «ha cambiato i giochi per il mercato finanziario», perché gli investitori, in quel momento, hanno «appreso che lo Stato italiano non poteva andare in default». E «questo non era chiaro prima».
RISOLVERE LA CRISI VELOCEMENTE. «Non risolvere una crisi del debito, solitamente rende tale crisi peggiore». «Se la Germania non è pronta per avere gli Eurobond, o qualunque altro meccanismo di conversione, e se la Germania non è pronta a ridurre il suo attuale avanzo nei conti, così da aiutare le aziende esportatrici del sud», non sarà possibile per un paese della “periferia” europea «diventare più competitivo e contemporaneamente ridurre il debito in un periodo di dieci anni». Sarebbe un programma che funzionerebbe, forse, «nell’arco di cinquant’anni».
Ora stiamo chiedendo al sud di fare tutti gli aggiustamenti, sia nell’economia sia nell’ambito fiscale. Eppure nei paesi del sud si ha un problema di concorrenza con la Germania. «Prodotti e servizi sono molto più costosi in Italia di quanto non lo siano in Germania, e lo sono diventati sempre più nel corso degli anni». «Questa differenza deve essere corretta al ribasso. E sarà difficilissimo farlo». L’Italia, secondo Münchau, è «in qualche modo pronta per uno scenario di deflazione».
GLI ERRORI DI MONTI. A parte ripudiare l’austerity, «credo che Monti avrebbe dovuto dire la verità alla Merkel»: che senza gli Eurobond «l’Italia non potrà rimanere membro dell’Eurozona». I tedeschi «sono convinti di poter imporre la loro politica», «che l’Italia non lascerà l’eurozona perché hanno tutti paura». «Se Monti avesse mutato direzione – si era creata una buona opportunità per farlo nel giugno 2012 – se avesse detto alla Merkel che l’Italia aveva davvero un’opzione di uscita dall’Eurozona, che quella exit option era reale e che le si sarebbe dato l’avvio se non ci fosse stato alcun progresso sull’Unione bancaria e fiscale, tutto ciò avrebbe dato una forma diversa al dibattito».
PERCHÉ MERKEL SOSTIENE MONTI. Per Münchau la spiegazione della preferenza di Merkel per Monti è semplice e lineare. «La Merkel ha paura di Bersani perché teme che possa allinearsi con il socialista francese Francois Hollande e l’ultima cosa che vuole è un fronte franco-italiano contro la Germania», «chiaramente con Berlusconi la Merkel non aveva buoni rapporti, quindi non vuole che torni». «Di conseguenza Monti, che non è un politico per natura, è la controparte perfetta con la quale avere a che fare su un terreno principalmente tecnico, senza grandi implicazioni politiche». La benedizione di Merkel a Monti non è che «un riflesso degli interessi tedeschi». «Certamente secondo la prospettiva della Mekel è più facile avere a che fare con lui che con il suo predecessore».
MERCATI PREOCCUPATI DALL’AUSTERITÀ. La giustificazione più in voga per dare credito alle misure di austerità è l’argomento “bond vigilantes”, «ovvero i guardiani del mercato dei titoli di stato»: «Si sostiene cioè di aver bisogno dell’austerità», «anche se l’austerità non funziona». Servirebbe «per la credibilità». Ma secondo Münchau, i mercati «non sono stupidi». Per questo, lo spread non è migliorato per le misure di Monti, ma per quelle di Draghi. «Gli investitori con cui ho parlato», anzi «erano preoccupati più per l’austerità che per la mancanza di austerità».
AUSTERITÀ INGIUSTIFICATA. Gli investitori conoscono l’Italia. È risaputo da tempo che l’Italia ha «un debito molto elevato». Non sono stati turbati tanto da questo, quanto dalla congiuntura fra instabilità politica del paese ed economica dell’Europa. «L’effettiva politica fiscale, anche sotto le amministrazioni precedenti», sia di Prodi sia di Berlusconi, «era responsabile solo in parte» del debito pubblico. Durante i precedenti governi, «l’Italia non ha visto esplodere il proprio deficit, e nella recessione del2009 ha avuto una quantità minima di esborsi per incentivi o salvataggi, ha mantenuto un budget piuttosto prudente». «Per questo credo che l’austerità non fosse giustificata da nessuna ragione oggettiva».«L’unica ragione che si poteva accampare era quella della mancanza di credibilità, cosa che non ritengo vera». I mercati erano preoccupati che la situazione creatasi potesse spingere l’Italia fuori dall’Eurozona. «Si creò un rischio di “ridenominazione” dei titoli di Stato e dei contratti», e questo spaventò gli investitori.
ELIMINARE IL DEFICIT? IRRAZIONALE. «Non c’è nessuna teoria economica che affermi che il deficit giusto sia zero. Non esiste». «Non c’è nessuna teoria economica che dica nemmeno che il debito debba essere zero». «Come ben sanno le società, si prende in prestito denaro, si investe: se si fanno troppi prestiti ci si ritrova in difficoltà, se si chiedono toppo pochi prestiti si corre il rischio di non sfruttare i propri potenziali, c’è una golden line». Non c’è una teoria economica che dica dove sia la scelta perfetta. Il Fiscal compact, sulle misure di austerità, «deriva da una legge costituzionale tedesca che cercava di eliminare per sempre il deficit di budget». Ma il deficit azzerato ha senso solo «da un punto di vista politico». «Ai politici piace perché pone dei limiti, rende alcune cose meno spaventose per la popolazione».
Nel caso dell’Italia il problema non è il deficit ma la mancanza di crescita. «Si può guardare al debito e alla crescita nello stesso modo». Se si ha crescita, il debito, per quanto grande, è sostenibile. Con lo zero per cento di crescita si è insolventi, anche se il debito è piccolo. Con uno zero per cento di crescita, come ora in Italia, si sarebbe insolventi anche se il rapporto debito/pil fosse al 60 per cento, «ovvero entro il limiti di Maastricht e Fiscal compact». «Chiunque è insolvente se ha contratto debiti e non cresce» o se non ha permanentemente, ma è improbabile, un avanzo primario.
PUNTARE ALLA CRESCITA. Perché l’Italia cresca «non punterei tanto sulla riduzione del debito, quanto sulla crescita». «Dovremmo ottenere gli aggiustamenti simmetrici, così che i prezzi in Germania aumentino mentre diminuiscono in Italia, in modo da incontrarsi a metà strada». Il peso degli aggiustamenti non può gravare soltanto sull’Italia e sugli altri paesi periferici. «La seconda cosa che dovrebbe accadere è che l’Italia intraprenda le riforme strutturali, ma di quelle che aiutino la crescita nel lungo periodo». Seguendo l’intera agenda Ocse, anche se non tutta. Basterebbe agire nel mercato del lavoro, dove «occorrono flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti e introduzione di contratti salariali», e poi nel mercato dei prezzi dei prodotti, dove «si devono rafforzare i provvedimenti anti cartello, anti trust, accordi sulla fissazione dei prezzi».
TAGLIARE SPESA E AUMENTARE TASSE? In tempo di recessione, per Münchau, non è possibile fare grandi tagli alla spesa. Per quanto riguarda le tasse, che l’Italia ha altissime, aumentarle «sarebbe la cosa più stupida». In un tempo di disoccupazione crescente e di recessione, «se si tagliano le spese non ci sarà nulla che funzioni a mo’ di compensazione». «L’austerità viene comunque praticata, che si tratti di tasse o di tagli nella spesa». E questo è un disastro, perché«visto l’elevato moltiplicatore fiscale, ciò significa che se si risparmia un euro, l’economia si contrae di due euro». E ciò «vale sia per i tagli alla spesa che per gli aumenti delle tasse». Con l’austerità non c’è alcuna «espansione miracolosa».