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Covid. In Cina la quarantena preventiva più lunga del mondo: 56 giorni

Il Dragone continua a perseguire la politica "zero Covid". Se Shenyang richiede due mesi di quarantena a tutti coloro che vogliono entrare in città, a Ruili la vita è scandita da continui lockdown e test. La denuncia di un padre: «Mio figlio ha un anno e ha già fatto 74 tamponi»

Leone Grotti
15/11/2021 - 6:30
Esteri
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Un intero quartiere di Pechino finisce in lockdown in Cina per una manciata di casi di Covid
Posto di blocco all’entrata di un quartiere del distretto di Changping, a Pechino, finito in lockdown con i suoi 20 mila abitanti per una manciata di nuovi casi (foto Ansa)

Cento nuovi casi di Covid in media a settimana sarebbero considerati una trascurabile inezia in tutto il mondo, tranne che in un paese: in Cina. Il Dragone, che ha adottato la strategia “zero Covid”, reagisce a ogni singolo nuovo contagio come se fosse una nuova pandemia, imponendo lockdown selettivi a interi quartieri e città, imprigionando sani e malati in infinite quarantene.

Due mesi di quarantena preventiva

L’emblema della strategia cinese che mira a debellare la circolazione del virus, pur non essendo scientificamente provato che sia anche solo teoricamente possibile, è la città di Shenyang. La capitale della provincia nordorientale di Liaoning, ha registrato l’ultimo caso di Covid il 30 luglio. Da quattro mesi, nessuno dei suoi otto milioni di abitanti si è ammalato, eppure pochi giorni fa il Partito comunista locale ha annunciato quella che ad oggi è senza dubbio la quarantena preventiva più lunga del mondo.

A chiunque arrivi in città dall’estero è richiesto di rimanere 28 giorni in quarantena in un hotel adibito alla prevenzione del Covid-19 più altri 28 giorni chiuso in casa propria, per un totale di 56 giorni consecutivi. Durante questi due mesi, i potenziali untori dovranno sottoporsi a tampone il primo, quarto, settimo, quattordicesimo, ventunesimo e ventottesimo giorno in hotel. Poi, una volta a casa, dovranno controllare il proprio stato di salute «tutti i giorni al mattino e alla sera», riportandolo alle autorità. Inoltre, una volta a settimana i funzionari predisposti chiameranno a casa del sospetto contagiato per sincerarsi ulteriormente delle sue condizioni, mentre i tamponi saranno “soltanto” due.

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Schedato chi fa acquisti “sospetti” in farmacia

Se durante il soggiorno in casa, il malcapitato dovesse presentare uno qualunque di questi sintomi (febbre, tosse secca, stanchezza, perdita di gusto e olfatto, congestione nasale, raffreddore, mal di gola, congiuntivite, indolenzimento ai muscoli, diarrea), deve subito chiamare l’ambulanza per farsi trasportare in una clinica specializzata contro il Covid e restare in isolamento a tempo indefinito.

Chi invece volesse entrare a Shenyang da un’altra provincia della Cina, e non dall’estero, dovrà sottostare a una quarantena di 14 giorni, invece che 28, e tenere poi monitorate le proprie condizioni di salute a casa per i 14 giorni successivi. Se durante il confinamento in hotel è ovviamente vietato uscire dalla propria stanza, nel mese da recluso tra le mura della propria abitazione l’indicazione è di non mettere mai piede all’aperto se non per assolute urgenze.

Le autorità locali a Shenyang, come in moltissime altre parti della Cina, hanno anche imposto alle farmacie di schedare tutti coloro che acquistano medicinali per curare sintomi che potrebbero essere legati al Covid e di passare regolarmente i dati al governo.

9.000 turisti in isolamento per un mese

Il fatto che il 77 per cento della popolazione cinese sia già vaccinato non ha alcuna importanza per il governo perché dietro ogni naso arrossato o febbriciattola di stagione potrebbe nascondersi un positivo. Se le restrizioni selettive sembrano funzionare nel contrasto alla pandemia – nell’ultimo anno e mezzo sono morte ufficialmente nel paese appena quattro persone – hanno però conseguenze drammatiche sulla vita quotidiana.

Basta un singolo caso perché un quartiere abitato da decine o centinaia di migliaia di persone finisca in quarantena per almeno due settimane con divieto assoluto di uscire. Lo stesso vale per le città. Come raccontato dall’Associated Press, Wang Lijie, residente a Pechino e partito per passare tre giorni di vacanza nel deserto dei Gobi, è rimasto bloccato per quasi un mese insieme ad altre 9.000 persone a Ejin Banner, nella Mongolia Interna, perché in una città vicina alcune persone erano risultate contagiate. In tre settimane e mezzo Wang ha dovuto sottoporsi a 18 test per il Covid.

«A mio figlio di un anno già 74 tamponi»

Un altro simbolo della strategia “zero Covid” è la città di Ruili, al confine con il Myanmar. Nell’ultimo anno gli abitanti hanno subito quattro lockdown, uno dei quali della durata di 26 giorni, durante i quali è stato predicato il divieto assoluto di affacciarsi dalla porta di casa. Spesso, tra un lockdown e l’altro, molti negozi hanno scelto di non riaprire, così come le scuole sono rimaste chiuse per la maggior parte del tempo a meno che gli studenti non accettassero di restare a vivere dentro l’istituto con i professori senza possibilità di lasciarlo mai.

In un video diventato virale in Cina, un padre racconta che il figlio di appena un anno ha già dovuto sottoporsi a «74 tamponi». Un taxista ha invece rivelato di averne fatti 90 negli ultimi sette mesi. Basta anche un solo caso per far tornare l’intera città in lockdown e questo è il motivo per cui, negli ultimi dodici mesi, 200 mila persone hanno abbandonato la città, non riuscendo più a vivere. Per impedire lo svuotamento, il governo ha imposto 21 giorni di quarantena obbligatoria in hotel, a pagamento, per chiunque voglia uscire da Ruili.

La Cina “zero Covid”

Nonostante il 96 per cento dei residenti sia vaccinato e nell’ultimo mese ci siano stati appena cinque contagi, le restrizioni continuano. «Se l’epidemia a Ruili non raggiunge lo zero», ha dichiarato il vicesindaco Yang Mou, «ci potrebbe essere il rischio di contagiare anche altre città». Liu Bin, 59 anni, attivo nel commercio e rovinato dalle chiusure, ha espresso tutto il suo sconforto al New York Times: «Perché dobbiamo essere oppressi così? Seguo tutte le misure di prevenzione. Che cosa dobbiamo fare ancora noi persone normali per rispettare gli standard? Anche la mia vita è importante». Non nella Cina “zero Covid”.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: CinaCovid-19lockdownpartito comunista cinesequarantena
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