Così l’Italia (non) risolve l’emergenza carceri. Lo scandalo di Rovigo
Pubblichiamo un articolo tratto dal numero del settimanale Tempi in edicola
A Rovigo, il 23 luglio 2007, era arrivato in pompa magna perfino il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Con forbici e nastro tricolore d’ordinanza, il guardasigilli aveva lanciato la costruzione del nuovo carcere: una capienza di 210 posti, destinato a soli detenuti uomini. Fu detto in quell’occasione che i lavori strutturali sarebbero durati quattro anni, per una spesa di 28 milioni di euro. Le cronache della giornata riportano, scolpito nell’inchiostro, l’equilibrato realismo di Mastella, politico reso saggiamente pessimista dal meridionalismo: «Speriamo di adoperarci affinché l’opera non resti un’incompiuta».
Parole fatalmente premonitrici. Perché di anni in realtà ne sono serviti otto, e di milioni (finora) ne sono stati impegnati 29. E alla fine, tra mille traversie e difficoltà sovrumane, pare che lo abbiano costruito per davvero, il nuovo carcere di Rovigo: da fuori, almeno, si vedono gli alti muri di cinta con le casematte delle guardie; e poco più in là gli edifici destinati alle celle, dipinti di un bel giallo rosato, con le grandi finestre sbarrate… Insomma, tutto sembra a posto.
Però non lo aprono, il carcere nuovo. Perché per farlo funzionare, tra arredi e strutture interne, pare che di milioni ne manchino ancora 20 (venti!). Soprattutto, mancano gli agenti penitenziari necessari: si dice ne servano 180. Strano: di passaggio a Rovigo, lo scorso marzo, l’attuale ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva garantito l’imminente apertura della struttura. Invece nulla. «Spero sia un problema momentaneo», commenta il presidente dell’Ordine degli avvocati della città, Giampietro Berti. «Altrimenti sarebbe un scandalo di proporzioni nazionali».
210 posti da 138 mila euro l’uno
Ha ragione, l’avvocato Berti: lo scandalo c’è tutto. E grida vendetta. Perché è vergognoso che il denaro pubblico venga sprecato in questa maniera assurda. E quello di Rovigo non è uno scandalo locale, ma assurge a caso nazionale, se non continentale. Perché l’indecorosa vicenda del carcere fantasma accade in un Paese che due anni fa è stato clamorosamente condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per lo stato infame delle sue strutture carcerarie. La Corte di Strasburgo, nel 2013, censurò l’Italia per il trattamento inumano riservato ad alcuni suoi reclusi, costretti in spazi inferiori ai quattro metri quadrati, in strutture fatiscenti (l’80 per cento delle prigioni italiane ha più di un secolo di vita), senza servizi igienici e senza docce, e quasi prive di assistenza medica.
Ed è vero il dato di cui oggi fa vanto il ministro Orlando: da allora il numero ufficiale dei detenuti è calato da 68.258 a 52.144 (ultimo dato del 31 luglio 2015). Ma il problema non è affatto risolto. Perché la capienza massima complessiva delle 198 strutture penitenziarie italiane resta di 49.552 posti, e denuncia quindi la presenza di oltre 2.500 reclusi oltre la norma.
A Rovigo ora ci sono 210 nuovi posti, costati 138 mila euro l’uno e inutilizzati. Sempre a Rovigo, aggiunge l’avvocato Berti, la casa circondariale di via Giuseppe Verdi, quella che nel 2007 doveva essere sostituita in quattro anni e oggi contiene ancora 75 detenuti (in sovrannumero), «è vecchissima e necessiterebbe di interventi di manutenzione straordinaria che fino a ora non sono mai stati effettuati in quanto si pensava di doversi trasferire nel carcere nuovo». Le cronache recenti parlano di aggressioni violente e di agenti ridotti allo stremo.
Vogliamo dirla tutta? Lo scandalo del carcere fantasma meriterebbe l’attenzione non soltanto del ministero della Giustizia, ma anche della locale procura: c’è un magistrato, a Rovigo?
Foto carcere da Shutterstock
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