Caro direttore, sulla tragedia della discoteca a Corinaldo, che ha visto la morte di cinque giovanissimi e di una mamma, sono state scritte e dette tante cose. Si è detto della irresponsabilità e dell’avidità dei gestori che hanno fatto entrare più persone di quanto fosse possibile. Si è sottolineato, come capita sempre in casi del genere, la mancanza di adeguate misure di sicurezza (una delle attuali parole magiche). Si è scoperto che oramai è abitudine lanciare nelle discoteche, durante certi concerti, gas asfissianti. Si è ribadito che in quel tipo di locali giri la droga e vengano serviti alcolici anche a minorenni. Si è constatato che la discoteche sono frequentate da ragazzi sempre più giovani, anzi giovanissimi. Si è pianto per tutte queste vite stroncate in modo così assurdo. Moltissimi hanno condiviso con partecipazione il lancinante dolore di genitori, parenti e amici. Abbiamo vista molta indignazione immediata, che ora si sta già spegnendo, in attesa che si trovi il “colpevole”.
In tutto il bailamme di questi giorni, una cosa è stata data per scontata, come se fosse una circostanza indiscutibile da non giudicare. È stato dato per scontato il fatto che sia “naturale” che bambini e ragazzini di dodici-quindici anni, per divertirsi, debbano per forza frequentare una discoteca, in cui tutti sanno che viene suonata una musica assordante e nichilista, in cui tutti sanno che ai frequentanti qualcuno, altrettanto giovanissimo, offrirà della droga, in cui tutti sanno che la maggioranza dei giovani uscirà ubriaca, in cui tutti sanno che ragazzi e ragazze giovanissime faranno le tre o le quattro di notte. Tutti (o molti) sanno tutte queste cose, ma gli attuali adulti sanno coscientemente offrire ai lori figli e agli amici dei loro figli solo luoghi in cui accadono le cose a cui ho appena accennato.
Come aveva ragione il Servo di Dio don Luigi Giussani quando per primo (e per un po’ di tempo inascoltato) disse pubblicamente che la vera emergenza del nostro Paese (e di tutto il mondo occidentale) è l’educazione! La mancanza della responsabilità educativa da parte degli adulti a tutti i livelli è oggettivamente drammatica. A causa di questa mancanza, nessun genitore riesce più a proibire ad un figlio minorenne di frequentare una discoteca e non riesce perché “prima” non ha trovato il tempo ed il coraggio (per educare occorre coraggio, innanzi tutto il coraggio della impopolarità) di trasmettergli punti di riferimento ideali che gli facciano preferire altri modi di vivere in allegria rispetto alla banalità e bestialità della discoteca. La scuola è tutta preoccupata di illustrare agli studenti le precauzioni da avere quando si vogliono affrontare certe esperienze: l’educazione sessuale, per esempio, si riduce ad insegnare l’uso corretto del profilattico e nessuno pensa a comunicare quando l’atto sessuale diventa veramente umano. Nessun giudizio viene mai dato circa l’ambiente infernale che si respira nelle discoteche. Le istituzioni sanno ciò che avviene nelle discoteche, ma intervengono troppo raramente e quasi sempre solo quando succede qualcosa di grave.
Caro direttore, non si può educare senza avere un giudizio sul senso della vita. Sono veramente colpito dal fatto che gli adulti, nella stragrande maggioranza, abbiano rinunciato a qualsiasi giudizio e si pongano di fronte ai desideri dei giovani con un atteggiamento fatalistico, come se non si potesse fare altro. “Tutti vanno in discoteca, come posso dire a mio figlio di non andarci”? Io dico che puoi dirglielo, dandogli le ragioni che ciascun genitore sano di mente ha naturalmente dentro di sé. In questo clima di rassegnazione, gli adulti non sanno pensare ad alternative per i propri figli diverse da quelle proposte dal “mercato”. Sotto questo profilo, è grande la responsabilità degli educatori cattolici, che sono chiamati ad offrire ai giovani proposte diverse da quelle imposte dal sistema globale.
Quando mi fu fatta la proposta cristiana, essa mi apparve così travolgente che non sentii più l’esigenza di aggregarmi forzatamente ai “riti” che la società di allora mi proponeva. E chi mi fece la proposta di fatto mi mostrò che c’era anche un modo “diverso” di divertirsi e vidi una affascinante alternativa.
Penso che il modo migliore di condividere il dolore per le vittime sarebbe quello di annunciare ai giovani ed ai loro genitori che si può vivere meglio se non ci si piega acriticamente alle “mode” del momento. Soprattutto se queste “mode” sono palesemente contrarie al desiderio di bene e di bello che c’è nel cuore di ciascuno.
Peppino Zola, via email