Se la coppia è “di fatto”, perché disciplinarla?
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Della serie: quando l’ideologia impatta con la realtà. Ricordate quando fra gli argomenti che adoperavamo in materia di convivenze vi era il già ampio riconoscimento normativo e giurisprudenziale di diritti in favore dei componenti di una coppia, sia etero sia omosessuale? Ricordate pure che, se proprio si intendeva giungere a un dettato normativo, si potevano mettere in fila quei diritti e quelle facoltà in un testo unico ricognitivo? È uno sforzo cui hanno dato seguito al Senato e alla Camera rispettivamente il senatore Sacconi e l’onorevole Pagano con non pochi colleghi, senza che però il Parlamento abbia condiviso il loro lavoro. Governo e maggioranza hanno preferito – con doppio voto di fiducia, impedendo la discussione – procedere con lo schiacciasassi, rifiutando di fermarsi anche sui passaggi della legge che, al di là delle scelte di principio, sono mal scritti e peggio coordinati. Risultato: le questioni emergono prima ancora che le nuove norme siano pienamente operative; i decreti attuativi sono ancora in fase di elaborazione.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Ne danno conto con merito quei giornali che hanno spinto di più per l’approvazione della legge, non cessando mai di sostenere che il “vuoto normativo” andava riempito senza ritardo in quanto fonte di ingiustizie. Da Repubblica si apprende così che il 31 maggio il dottor Giuseppe Buffone, giudice del tribunale di Milano, deposita una ordinanza con la quale afferma che lo status di convivente “di fatto” va riconosciuto pure a colui che ha una residenza diversa dal partner o è in attesa di divorzio dall’ex: e questo benché la legge Cirinnà lo escluda in entrambi i casi, poiché prevede lo stato civile libero e l’identità di residenza. Secondo Buffone, proprio perché ci si trova di fronte a una condizione di fatto, «convivere è un fatto giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici». Dunque, la dichiarazione anagrafica prevista dalle nuove disposizioni come costitutiva dell’avvio della convivenza sarebbe incoerente con la natura fattuale di questa: secondo il giudice, la “mera convivenza” va tutelata anche fuori dai casi previsti dalla legge Cirinnà.
Repubblica riporta l’opinione di Giuseppe Spadaro, presidente del tribunale per i minori di Bologna: «L’ordinanza di Milano è giuridicamente sacrosanta. Applicare in modo restrittivo la norma, per quanto riguarda le convivenze di fatto, significherebbe escludere la metà delle situazioni esistenti, fino a oggi tutelate grazie alla giurisprudenza». E quella dell’avvocato Cinzia Calabrese, presidente dell’Aiaf Lombardia: «La convivenza è una situazione di fatto, e c’è da chiedersi se fosse necessario disciplinarla con una norma».
Posizioni interessanti, che purtroppo arrivano a tempo scaduto, quando è stato fatto il danno dell’unione fra persone dello stesso sesso, disciplinata in tutto e per tutto come il matrimonio. Al quale si aggiunge la beffa: senza la legge Cirinnà le forme di convivenza oggi regolate dalla seconda parte dell’articolato che reca il suo nome avrebbero maggiori tutele in base al quadro normativo ed ermeneutico esistente. È straordinario leggere su Repubblica che «a partire dagli anni Ottanta, in assenza di una norma, i giudici di ogni grado hanno cominciato a riconoscere alla coppie di conviventi eterosessuali tutele simili a quelle previste per gli sposati. Fra le altre, (…) l’obbligo di mantenimento del partner in caso di separazione, il diritto al subentro nell’affitto in caso di morte del compagno, e il diritto all’assistenza in ospedale».
Finché lo scrivevamo noi eravamo biechi discriminatori. Che la senatrice Cirinnà venga corretta a stretto giro (e la sua legge disapplicata) da quell’intervento giudiziario che ella ha sempre invocato per sostenere l’adeguamento delle norme alla giurisprudenza è solo uno dei tanti casi di applicazione del contrappasso. Che di ciò faccia lezione la Repubblica è un altrettanto interessante caso di deontologia giornalistica a scordare il giorno dopo quel che si è scritto il giorno prima. Né l’uno né l’altro caso consolano neanche un po’.
Foto Ansa
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9 commenti
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Nell’articolo avete fatto un minestrone unico tra primo e secondo capitolo della Cirinnà.
Trollona, qui aldo-nino, non ti preoccupare, qualcuno , a breve, ti darà da mangiare, intanto accontentati di uno spuntino, che altrimenti il sindacato delle trollone mi pianta una grana.
Ma chi è sta de mente?
Veramente hai scritto demente de-mente????!!!!
È un esperimento di Google, un specie di word automatico che mette insieme 2-3 righe, tutte le volte senza senso, ma che cominciano sempre con la parola “trollona”. Bisogna pazientare perché l’esperimento è solo all’inizio. Ma è divertente, io spero che vadano avanti.
E se c’è una esperta di parolacce, quella è la trollona, qui nino-aldo-argonaz !
Però, trollona, una cosa te la devo dire : prima, quando non ti eri scoperta con tutti questi nick multipli che usi massicciamente, poteva avere un senso usarli, ma ora, che senso ha ?
Possibile che non ci arrivi ?
Che non ti rendi conto dell’effetto psycho di una che si dà ragione da sola ?
Io non me ne capacito.
Spero ancora che un miracolo ti convinca che non sei Napoleone, che un barlume illumini le tue giornate nerissime e vuotissime.
Secondo me tu, Giovanna, sei spesso presente nei pensieri della troll, un chiodo fisso..il suo tormento, diciamolo!
Non è che sia quello cui aspiro, Susanna !
E non mi piace nemmeno per niente il ruolo di anti-trollona, che alla fine sembro mezza ma tta pure io, ma mi ci sono trovata, un motivo ci sarà, non l’ho cercato, e non posso abbandonare la redazione e i suoi lettori nelle mani della trollona, proprio no.
Articolo interessante, ma mi piacerebbe sapere quali sono le maggiori tutele che la situazione “ex ante” dava alle coppie di fatto.
La sentenza del giudice dice che gli stessi diritti dati dalle legge Cirinnà (la seconda parte) devono essere dati a coppie escluse dalle legge stessa, quindi al limite bisognerebbe estendere la Cirinnà, no eliminarla. perchè non è vero che sia superflua, una cosa è dover ricorrere ad un giudice per veder tutelati i propri diritti, altro è vederseli tutelati senza possibilità di dubbio