Il cambiamento climatico non dev’essere per forza un armageddon: possiamo adattarci

Di Bjørn Lomborg
30 Ottobre 2021
È dimostrato che l’errore più grave di certi studi tanto allarmanti (e tanto “mediatici”) sul clima è ignorare la capacità di reazione umana
Attivista di Greenpeace protesta contro il cambiamento climatico sulla statua di Colombo a Barcellona
La statua di Cristoforo Colombo addobbata con una maschera da snorkelling: dimostrazione di Greenpeace a Barcellona contro l'innalzamento del livello dei mari, 27 april 2019 (foto Ansa)

Quello che segue è l’ottavo di una serie di articoli firmati da Bjørn Lomborg e pubblicati da Tempi in esclusiva per l’Italia in vista della Cop26, la conferenza globale sul clima in programma per novembre 2021 a Glasgow. Lo scopo di questa rubrica è mettere in luce dati scientifici spesso trascurati nella narrazione dominante sul clima, eppure non meno importanti del fatto che «il cambiamento climatico è un fenomeno reale e causato dall’uomo», come sostiene Lomborg.

Le puntate precedenti sono disponibili qui.

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Grafico: Costi globali delle alluvioni con e senza adattamento
Costi globali delle alluvioni con e senza adattamento umano. Fonte: atti della National Academy of Sciences of the United States of America (Pnas)

È semplice fabbricare i disastri climatici. Basta trovare una tendenza sconvolgente in atto e proiettarla nel futuro, ignorando tutto ciò che l’umanità potrebbe fare per adattarsi. Per esempio, uno studio che ha avuto ampia eco ha mostrato che le ondate di caldo potrebbero uccidere migliaia di persone in 15 tra le principali città degli Stati Uniti entro la fine del secolo se il riscaldamento globale proseguirà rapidamente – ma solo se si presume che le persone non faranno maggior ricorso al condizionamento dell’aria. Sì, è probabile che il clima cambierà, ma lo faranno anche le abitudini umane.

L’adattamento non ci sbarazzerà completamente dei costi del riscaldamento globale, ma li abbatterà decisamente. L’innalzamento delle temperature ridurrà i raccolti se gli agricoltori continueranno a tenere le stesse colture, ma probabilmente essi si adatteranno coltivando diverse varietà e piante differenti. Quando il livello del mare si alzerà, i governi costruiranno difese, come gli argini, i muri di inondazione e i sistemi di drenaggio che quest’anno hanno protetto New Orleans dal peggio della ferocia dell’uragano Ida.

Ciononostante, spesso i media pompano proiezioni irrealistiche di catastrofi climatiche, ignorando invece l’adattamento. Una nuova ricerca documenta come l’errore più grave degli studi sull’innalzamento dei livelli del mare sia proprio la loro propensione a tralasciare l’adattamento umano, gonfiando i pericoli derivanti dalle alluvioni nel 2100 fino a 1.300 volte. È inoltre evidente il tono mozzafiato della maggior parte delle cronache: il Washington Post strilla che l’innalzamento del livello del mare potrebbe «lasciare 187 milioni di persone senza casa», la Cnn paventa un «futuro sott’acqua» e Usa Today si angoscia per decine di migliaia di miliardi di dollari di danni previsti da alluvioni. Tutte e tre le testate, però, si basano su studi che assumono l’implausibile ipotesi per cui di qui alla fine del secolo nessuna società del mondo compirà qualsivoglia adattamento. Questa non è informazione, è allarmismo.

Ci si può rendere conto di quanto simili previsioni siano lontane dalla realtà grazie a una ricerca massicciamente citata, rappresentata nel grafico qui sopra. Se si assume che da oggi al 2100 nessuna società si adatterà in alcun modo all’innalzamento dei mari, risulterà che vaste aree del mondo subiranno regolarmente inondazioni, causando nel 2100 danni per 55 mila miliardi di dollari ogni anno (dati in dollari del 2005), ossia pari a circa il 5 per cento del prodotto interno lordo globale. Ma come sottolinea lo studio, «nella realtà è probabile che le società si adatteranno».

La ricerca mostra che aumentando l’altezza degli argini l’umanità può annullare quasi tutti quei terribili danni previsti entro il 2100. Sarebbero alluvionate appena 15 mila persone l’anno, il che rappresenta un notevole miglioramento in confronto ai 3,4 milioni di persone alluvionate nel 2000. I costi totali di danni, investimenti in nuovi argini e manutenzione di quelli esistenti si ridurrebbero di sei volte da qui al 2100, per un valore pari allo 0,008 per cento del Pil mondiale.

L’adattamento è molto più efficace delle regole per il clima nel prevenire i rischi di alluvioni. Mettiamo a confronto i due tipi di contromisure. Senza l’aiuto di alcuna mitigazione climatica, gli argini preserverebbero comunque il 99,99 per cento delle vittime di alluvioni che avremmo qualora il riscaldamento globale continuasse al ritmo attuale. Invece di 187 milioni di persone alluvionate nel 2100, ce ne sarebbero appena 15 mila. Le politiche climatiche da sole garantiscono risultati molto inferiori. Senza adattamento, anche regole rigide per mantenere l’innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi ridurrebbero il numero di vittime di alluvioni soltanto fino a 85 milioni l’anno entro la fine del secolo.

Se adottate in concomitanza con argini nuovi, tali inflessibili norme climatiche avrebbero ugualmente effetti moderati: invece delle 15 mila vittime che si avrebbero con il solo adattamento, se ne registrerebbero 10 mila. E arrivarci costerebbe centinaia di migliaia di miliardi di dollari, cifre a malapena limate dalla riduzione di 40 miliardi di dollari che quelle stesse norme climatiche porterebbero in termini di danni totali derivanti dalle alluvioni e costi per gli argini.

Non occorre presagire la rovina per prendere sul serio il cambiamento climatico. Ignorare i benefici dell’adattamento può giovare ai titoli di giornale, ma finisce per disinformare gravemente i lettori.

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