
«Conta solo il presente». Incontrare Chiara Corbella Petrillo in Inghilterra
Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione ampi stralci di un articolo di Francis Phillps apparso il 24 novembre nel sito del magazine cattolico londinese. Il testo originale in inglese è pubblicato in questa pagina.
(…) Quando la gente prova a “normalizzare” gli attacchi dei terroristi ricordando che è molto più facile morire per sovralimentazione o sulle strade, trovo che non colga il punto. Il punto nella vita non è evitare la morte a tutti i costi o vederla come la tragedia definitiva, ma vivere bene qui e ora, cioè con lo sguardo all’eternità. (…). Sono questi i pensieri che mi ha suscitato la lettura di una storia profondamente commovente che rimette tutti gli odierni allarmi (e gli allarmisti) nella giusta prospettiva. Intitolato Chiara Corbella Petrillo: a Witness to Joy (edizione in inglese di Siamo nati e non moriremo mai più. Storia di Chiara Corbella Petrillo, ndt), scritto dagli amici di lei Simone Troisi e Christiana Paccini e edito da Sophia Institute Press, [il libro] racconta la storia di una giovane moglie e madre italiana morta di cancro nel 2012. Quel che risulta insolito in questa storia è il modo in cui Chiara fa i conti con la sua malattia terminale. Essendo già passati attraverso la perdita di due figli subito dopo la nascita, Chiara e suo marito, Enrico, devono affrontare il fatto che non potranno crescere insieme il loro terzo bambino, un maschietto di nome Francesco, e non potranno invecchiare insieme.
[pubblicita_articolo]La fonte di ispirazione nella storia è la fede radiosa di Chiara. Era davvera una “testimone della gioia” (witness to joy, ndt). Là dove altri avrebbero giudicato le sue sofferenze insopportabili – il suo cancro alla lingua e alla gola era particolarmente doloroso e debilitante – lei è riuscita a trasformare la sua situazione e coloro che le stavano intorno attraverso la vivida percezione della realtà della vita eterna in compagnia di Dio che la attendeva. Come riferiscono i suoi amici nel libro, «uno dei più grandi doni che Chiara e suo marito ci hanno mostrato è che abbiamo solo l’oggi. E nel presente puoi essere più felice di quanto tu abbia mai avuto il coraggio di immaginare».
Anche la “Mindfulness”, nuova terapia comportamentale di tendenza, è un modo di aiutare la gente moderna secolarizzata e stressata a fare i conti con la propria vita attraverso una tecnica di concentrazione sull’istante presente. Ma la vita cristiana, che quelli come Chiara ed Enrico esemplificano, ha sempre insegnato questo nel senso più profondo; si chiama “pratica della presenza di Dio”. Un modo di vivere che noi cristiani spesso dimentichiamo.
Il libro su Chiara contiene anche una lezione implicita riguardo all’essere pro-life. Informata dai dottori che i suoi primi due bambini non sarebbero sopravvissuti alla nascita (Maria Grazia Letizia era anencefalica e Davide Giovanni soffriva di una condizione non diagnosticata incompatibile con la vita), Chiara si è rifiutata di contemplare l’idea di un aborto “terapeutico”, spiegando che «se io avessi abortito, non credo che avrei ricordato quel giorno come un giorno felice» – come il giorno in cui i suoi bambini, battezzati subito dopo la nascita, sono entrati nella vita eterna. Davvero Chiara ha avuto il coraggio e l’intuizione di spiegare a quelli che le stavano intorno che la quantità di tempo «non importa. Quello che importa è che abbiamo avuto questo dono».
Quando è rimasta incinta del suo figlio sano, Francesco, quasi subito Chiara ha sviluppato il cancro che l’avrebbe uccisa. I medici volevano indurre il parto non appena sarebbe stato possibile per lui sopravvivere fuori dal grembo materno, così da poter cominciare la terapia radicale necessaria a salvare la vita di Chiara, ma la donna non ha voluto sentire ragioni; ha rimandato la terapia per 37 settimane affinché il bambino avesse il massimo delle possibilità di nascere in salute. A quel punto era troppo tardi per salvarla. Di fatto ha sacrificato la propria vita per la sua.
La gioia di Chiara non significa che non rivolgesse mai domande a Dio o che non sperimentasse mai momenti bui. Non voleva morire, non voleva lasciare solo suo marito o suo figlio. Ma avendo accettato le sue croci e trascorso la sua notte oscura dell’anima, viveva nella speranza, non nella disperazione, credendo che Dio «sa cosa sta facendo, e finora Egli non ha mai deluso». (…)
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2 commenti
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Conoscevo già la sua storia, ma leggendo un brivido mi ha colta lo stesso!
Perchè Chiara è viva, e sta bene con noi, che , come lei, amiamo lavita, sempre e comunque.
L’ho sempre sostenuto che il mondo ha bisogno di santi! e, qualche volta, ogni tanto, Dio ce li dà; per poi riprenderseli.
Grazie, Dio, grazie marito Enrico..;so che per te non è facile, ma dev’essere sicuramente “felice”: una moglie così tutti la vorrebbero!!
ciao!
Grazie, Chiara!