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Finalmente condannato uno dei “Beatles” dello Stato islamico

Si è concluso il processo negli Stati Uniti a El Shafee Elsheikh, membro della cellula terroristica dell'Isis che tra gli altri rapì e uccise James Foley

Amedeo Lascaris
19/04/2022 - 6:25
Esteri
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Stato islamico
Alexanda Kotey (a sinistra) e El Shafee Elsheikh, menbri della cellula terroristica soprannominata “i Beatles” (foto Ansa)

Il processo che si è concluso il 14 aprile presso la corte statunitense di Alexandria, in Virginia, contro l’esponente dello Stato islamico El Shafee Elsheikh, uno dei membri della famigerata cellula detta “i Beatles”, ha consentito di aprire uno spaccato agghiacciante sui crimini del gruppo terroristico che dal 2014 fino al 2018 ha spadroneggiato in Siria e Iraq, scrivendo una nuova pagina nel libro degli orrori del terrorismo internazionale.

I crimini dello Stato islamico

Il processo a Elsheikh avviene a quasi otto anni dalla pubblicazione del video di James Foley decapitato nel deserto siriano. L’imputato, 33 anni con passaporto britannico e nato in una famiglia originaria del Sudan, è a oggi l’unico membro del gruppo soprannominato “i Beatles” a essere condannato da una giuria statunitense e rischia l’ergastolo per aver contribuito all’uccisione dei giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff, degli operatori umanitari Peter Kassig e Kayla Mueller, e dei giornalisti giapponesi Haruna Yukawa e Kenji Goto. Essi erano tra i 26 ostaggi fatti prigionieri tra il 2012 e il 2015, quando lo Stato islamico controllava vaste aree dell’Iraq e della Siria. Tutti tranne Mueller sono stati giustiziati in decapitazioni videoregistrate diffuse online. Secondo quanto riferito, la Mueller è stata violentata più volte dallo stesso leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, prima di essere uccisa.

La giuria ha deliberato per quattro ore prima di ritenere Elsheikh colpevole di tutti i capi di imputazione, concludendo che l’uomo era uno dei famigerati “Beatles”, la squadra di rapitori con passaporto occidentale soprannominati così per il loro forte accento britannico e noti per la loro crudeltà. Tra gli elementi che hanno contribuito a fare ritenere Elsheikh un membro della famigerata cellula dello Stato islamico, la testimonianza di un ex membro del gruppo terroristico, il 26enne statunitense Omer Kuzu, il quale ha affermato di aver incontrato Elsheikh in almeno cinque occasioni, confermando il suo ruolo di primo piano all’interno della squadra che gestiva gli ostaggi divenuta poi tristemente nota come “i Beatles”. 

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Chiedi chi erano i Beatles

Gli ostaggi sopravvissuti hanno testimoniato che è stato John Cantlie, giornalista britannico rapito nel novembre 2012 insieme a Foley e a oggi “disperso”, a inventare il nome “Beatles”, come nome in codice per le guardie particolarmente crudeli che avevano accenti britannici. Mohammed Emwazi, che ha giustiziato diversi ostaggi in raccapriccianti video di propaganda, era “George”, anche se in seguito è stato soprannominato “Jihadi John” dai media. Emwazi è stato ucciso in un attacco di droni nel 2015. Alexanda Kotey, che si è dichiarato colpevole nella stessa corte l’anno scorso, era “John”. Elsheikh, secondo le prove al processo, era “Ringo”. Di recente, alla fine del 2020, le autorità hanno indicato un’altro londinese che si trova in una prigione turca, Aine Davis, come membro del gruppo, tuttavia, secondo quanto riporta il Washington Post, l’agente speciale dell’Fbi John Chiappone ha testimoniato al processo che i veri membri dei “Beatles” erano solamente tre.

Elsheikh e Kotey sono stati catturati mentre cercavano di fuggire dalla Siria nel 2018. I due erano detenuti in una delle prigioni controllate dalle forze curde alleate degli Stati Uniti, e in questi anni hanno confessato in una serie di interviste ai media di aver preso parte ai rapimenti e alla “custodia” degli ostaggi, sostenendo tuttavia di aver avuto solo ruoli marginali. La difesa di Elsheikh ha tentato di sostenere che gli ostaggi avrebbero potuto difficilmente individuare il suo assistito considerato che avevano il volto coperto ed erano costretti a stare rigirati con il volto verso un muro. La sentenza di colpevolezza è giunta nonostante nessuno degli ostaggi sopravvissuti sia stato in grado di identificare direttamente Elsheikh.

«Come a Guantanamo»

Nei resoconti pubblicati dai media statunitensi e britannici, i sopravvissuti – tutti europei tra cui l’italiano Federico Motka – hanno raccontato che durante la prigionia i loro aguzzini invocavano ripetutamente il carcere di Guantánamo, dicendo che volevano «ricreare le condizioni» e la tortura dei detenuti jihadisti. Gli ostaggi erano vestiti con tute arancioni, sottoposti a waterboarding e torturati con cavi elettrici. Agli ostaggi venivano affibbiati nomi di cani e spesso venivano costretti a combattere tra loro. Musulmani di seconda generazione e cresciuti nel “mondo occidentale”, i tre “Beatles” costringevano inoltre gli ostaggi a cantare parodie di canzoni come “Hotel California”, divenuta “Hotel Osama”.

L’operatore italiano Federico Motka ha raccontato durante il processo di quando nell’estate del 2013 lui e il compagno di cella David Haines furono rinchiusi in una stanza con Foley e l’ostaggio britannico John Cantlie e costretti a combattere l’uno contro l’altro. «Erano super entusiasti», ha detto alla corte Motka, che ha subito 14 mesi di brutalità per mano dei suoi rapitori. «Eravamo così deboli e a pezzi che riuscivamo a malapena a sollevare le braccia», ha affermato l’operatore italiano.

Il «viaggio» degli ostaggi americani e britannici

“I Beatles” erano particolarmente duri con gli ostaggi americani e britannici, anche perché erano consapevoli che i governi dei loro Paesi non avrebbero pagato alcun riscatto. Foley veniva vessate perché si era aggregato alle forze statunitensi, Kassig a causa del suo background militare e Sotloff perché sospettavano di essere ebreo. Come osservato dal giornalista danese Daniel Rye Ottosen, uno degli ostaggi sopravvissuti testimoni al processo, a un certo punto è diventato chiaro che gli ostaggi statunitensi e britannici «stavano facendo un viaggio per conto loro» e per questo motivo hanno iniziato a sostenersi a vicenda durante la prigionia.

Quando Sotloff è stato acciuffato mentre cercava di comunicare con Mueller, Foley e Kassig hanno chiesto di essere puniti anche loro. Quando a Foley è stato ordinato di rimanere in piedi per 24 ore di fila, anche Kassig e Sotloff lo hanno fatto. Ottosen ha testimoniato che Cantlie gli ha dato un messaggio da consegnare alle autorità britanniche e statunitensi: «Se non puoi farci rilasciare, uccidici con una bomba in modo che non possiamo essere usati come propaganda».

Che fine hanno fatto gli ostaggi

La corte ha ascoltato la testimonianza del padre di Kassig, Ed che durante il processo ha letto una lettera del maggio 2014 scritta dal figlio durante la prigionia. «Papà, qui sono paralizzato. Ho paura di reagire. Una parte di me ha ancora speranza. Una parte di me è sicura che morirò». Nella lettera, Kassig sottolineava che i rapitori cercavano di convincerli che le loro famiglie e i loro paesi li avevano abbandonati. «Sappiamo che stai facendo tutto il possibile e anche di più. Non preoccuparti, papà, se cado non penserò ad altro che a quello che so essere vero, che tu e la mamma mi amate più della Luna!». Nella lettera letta in aula dal padre Ed, Kassig affermava: «Se muoio, immagino che almeno tu e io possiamo trovare rifugio e conforto nel sapere che sono uscito perché ho cercato di alleviare la sofferenza e aiutare i bisognosi».

Foley, un insegnante di 39 anni diventato giornalista del New Hampshire, stava finendo un viaggio di reportage in Siria quando è stato rapito. È stato il primo statunitense ucciso dallo Stato islamico. Sotloff, ucciso in seguito, era un free lance di 30 anni originario di Miami. Come Foley, era impegnato a coprire i conflitti nel Medio Oriente. Kassig, morto a 26 anni, aveva un passato da ranger nell’esercito statunitensi e si era recato in Siria per avviare un servizio medico di emergenza volontario. La Mueller aveva invece iniziato da poco la sua attività umanitaria nella regione e doveva compiere 25 anni quando è stata rapita mentre lasciava un ospedale di Aleppo. La giovane è stata dichiara morta dallo Stato islamico nel febbraio del 2015 in un raid aereo giordano su posizioni dello Stato islamico.

All’epoca, il primo assistente procuratore degli Stati Uniti Raj Parekh aveva definito la versione dell’Isis una «menzogna propagandistica». Quanto a Cantlie, varie versioni sono state diffuse sulla sua fine, ma a oggi non è ancora chiaro se, dove e quando sia stato ucciso. La sua ultima apparizione risale a un video dello Stato islamico diffuso nel dicembre del 2016. Per quanto riguarda la sorte di Louisa Akavi, infermiera della Nuova Zelanda, rapita insieme a Mueller, nel 2019, a detta di operatori della Croce rossa, era ancora viva.

Tags: James FoleyStato IslamicoTerrorismo Islamico
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