
Con la legge Zan sarà «il far west dell’odio»

«Io non cambierei una virgola del magistero della Chiesa. La Chiesa ha senso di esistere proprio per il fatto di essere “segno di contraddizione” rispetto alla mentalità del mondo. Non vorrei mai che la Chiesa si conformasse ai miei desideri o ai miei pensieri solo per “farmi sentire a posto” con la mia coscienza, avvalorando di fatto pratiche obbrobriose come l’utero in affitto. No, questo non lo vorrei mai». Umberto La Morgia è un trentenne romano che lavora come tutor in università. È impegnato in politica, è di destra, è cattolico e omosessuale. Scherzando gli diciamo che “ce le ha tutte: qualcuno che abbia un motivo di insultarlo lo si troverà sempre”. Ride e sta al gioco, anche se poi è successo, racconta con una punta di rammarico, «che a ferirmi siano state di più persone che, teoricamente, avrebbero dovuto essermi vicine».
Umberto è un ragazzo sveglio con un certo talento per il web e per la provocazione arguta. Cresciuto in una famiglia cattolica non fa mistero della sua fede senza però mai agitarla come una clava contro qualcuno. Semplicemente, non ha paura di dire ciò in cui crede. Voi capite che, in tempi come questi, la cosa non può passare inosservata.
Il più eletto nel comune rosso
Per rendere l’idea del tipo, basta raccontare che presentò una tesi di laurea sulla “cultura dell’aborto e del controllo delle nascite nel sistema della Nazioni Unite dell’Unione europea”. «Mi presentai alla discussione e c’erano quasi tutte donne. Finì male: mi diedero solo due punti. Poi, però, riuscii a farla avere a papa Benedetto XVI a cui l’avevo dedicata con le parole “al gigante dell’umiltà e del nascondimento”. Erano i giorni della rinuncia al soglio pontificio e mai avrei immaginato, di lì a poco, di ricevere una sua lettera autografa in cui mi ringraziava per il mio impegno nel difendere la sacralità della vita e in cui si scusava per il ritardo della missiva: “Ma sa, io prima di scrivere sono abituato a leggere ciò che mi mandano”, diceva più o meno». Contento? «Una grande soddisfazione che per me è valsa molto più di qualunque altro giudizio».
Alle ultime amministrative Umberto è stato eletto consigliere comunale a Casalecchio di Reno, a due passi da Bologna. Alla politica ci è arrivato un po’ per caso e un po’ per passione. «Per lavoro mi ero trasferito a Casalecchio e ho deciso di presentarmi alle elezioni. Non conoscevo nessuno». Come cavarsela? Ha utilizzato abilmente i social, presentando le proprie idee in maniera chiara e concisa. Il ragazzo ci sa fare, è indubbio: se non si ha qualche numero, non si può risultare il più eletto di un partito di destra in uno dei comuni più rossi d’Italia.
Macchiette e stereotipi
Un mese dopo l’elezione ha raccontato al Giornale di essere omosessuale. Perché? «Perché non ritenevo giusto che quando si parlava di omosessualità l’unica voce che avesse diritto di cittadinanza fosse quella del cosiddetto mondo lgbt, quella anticattolica, quella che presenta la destra come omofoba e retrograda. Perché a rappresentare gli omosessuali devono essere solo Vladimir Luxuria o Imma Battaglia? Perché nelle trasmissioni televisive invitano solo loro o Mario Adinolfi come controaltare? Io capisco che i media abbiano bisogno di caricature e di stereotipi, di semplificare tutto secondo logiche manichee, ma c’è una grande zona grigia in mezzo, ci sono tanti che vivono in maniera diversa, che hanno altre opinioni o stili di vita. Esistiamo anche noi! Mica solo quelli che ballano seminudi sui carri durante i Gay Pride o che hanno fatto del vittimismo la loro bandiera».
Ultimamente, per dire, ha lanciato una pagina Facebook che si chiama Omosessuali di Destra. Le parole usate nella descrizione sono queste:
«Non siamo “persone Lgbt”, siamo persone. Non ci riconosciamo nelle rivendicazioni e nel vittimismo delle lobby gay. Siamo contrari all’ideologia gender, all’utero in affitto e al concetto del “figlio a ogni costo”. Esistiamo e non potete più ignorarci».
Uno così è difficile che passi inosservato. E infatti. In seguito a un’altra intervista alla Verità, in cui ribadiva i suddetti concetti, ha ricevuto via web insulti e minacce di tutti i tipi: «Mi scrivevano “ti vengo a bruciare casa” quegli stessi che si autoproclamano paladini dell’amore e che in questo preciso momento chiedono una legge per contrastare l’odio. Ma non mi importa degli insulti di una minoranza nella minoranza, mi interessa di più che passino i concetti in cui credo e che sono condivisi da una maggioranza silenziosa che non è giusto rimanga senza voce».
Contrario al ddl Zan
Ad esempio la sua ferma opposizione al ddl Zan che Umberto ha messo al centro di un video visibile su Youtube “Etero o gay #restiamoliberi.
Perché sei contrario? «Il testo è costruito a partire da un’esagerazione che riguarda i dati. Stando a quelli ufficiali forniti dall’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ndr) non esiste al momento in Italia un'”emergenza omofobia”. I sostenitori della legge ribattono che esistono tante denunce che non vengono presentate, ma questo è un argomento scivoloso e che non si basa su dati di fatto, numericamente certi. L’altra questione che non mi convince è presentare l’omosessuale come “persona fragile” perché così si apre un fronte potenzialmente infinito di “vittime”. Esistono persone bullizzate perché sono obese, perché sono considerate brutte o perché hanno le orecchie a sventola, ma a nessuno verrebbe in mente di fare una legge ad hoc per “proteggerle”. Soprattutto perché le leggi nel nostro ordinamento esistono già e vanno a punire non un sentimento (l’odio), ma degli atti. Il testo Zan fa un passo in più in una direzione liberticida colpendo le opinioni: va a punire con multe pesanti e persino col carcere chi discrimina o istiga alla discriminazione in base a sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Ma cos’è l’identità di genere? Già qui abbiamo un problema».
Tutto nelle mani dei giudici
In molti hanno osservato che il primo dilemma suscitato dal testo Zan è che non definisce esattamente cosa sia l’omofobia, però prevede delle pene per chi è ritenuto omofobo. «Esatto. Qual è la differenza tra libera espressione di pensiero e incitamento all’odio? Chi lo decide e in base a cosa? L’odio è un sentimento, come lo punisci? Vanno puniti i gesti e gli atti concreti che potrebbero portare ad azioni violente, ma tutto il resto? Se io metto online una petizione contro l’utero in affitto questo può essere considerato un atto di incitamento all’odio? Se io in una gara d’atletica femminile mi rifiuto di far partecipare un atleta trans, questa è discriminazione?». Così, dice La Morgia, si va verso il «far west dell’odio»: tutto è lasciato nelle mani dei giudici che, senza avere una legge che fornisca un criterio chiaro, li costringe a “interpretare”: «È la morte del diritto».
L’altro aspetto che non gli garba «è che con questa legge si legittima la propaganda nelle scuole, foraggiando le associazioni lgbt. Io lascerei stare i bambini. Già adesso, io lo vedo, c’è una grande spinta a promuovere la transessualità o la cosiddetta fluidità di genere nei minori e questa ideologia sta già intaccando anche il linguaggio con tutta la sua serie di suffissi con asterischi, schwa (Ə) e “u” in sostituzione del maschile plurale sovraesteso, per imporre un modo di esprimersi “inclusivo” che non discrimini nessuno».
Di chi sono figlio?
La battaglia sulle parole è un grande tema, che rivela gli intenti di chi la conduce. «Certo, basti pensare all’utero in affitto, che qualcuno chiama “gestazione per altri” per farla passare per un gesto di altruismo e di generosità quando altro non è che una mercificazione del corpo della donna. Si vuole nascondere sotto un abbellimento linguistico quel che succede: che un bambino è stato regalato o, peggio, venduto, da una donna a qualcun altro, single, omosessuale o eterosessuale che sia. Questo è il punto. Il punto è che noi non possiamo rimanere indifferenti alla domanda di senso che un giorno quel bambino rivolgerà a chi lo ha comprato: “Di chi sono figlio?”». È una domanda ancestrale, fondamentale per definire la propria identità, il proprio “sé”. «E tu non puoi programmare scientemente la vita di una persona a cui, quando ti farà la fatidica domanda, dovrai rispondere, ad esempio: “Sei figlio di una provetta anonima”. È un trauma, una violenza».
Il discorso ci porta lontano. «Il discorso ci porta alla “dittatura del desiderio”», dice La Morgia. «Pensare che ogni desiderio sia lecito è sbagliato. Vale per l’utero in affitto, ma anche per chi, è il caso di alcune star dello spettacolo, vuole a tutti i costi i figli in età avanzata. Anche la cosa più bella e più altruista del mondo – mettere al mondo un figlio – può diventare un atto di egoismo. Penso che questo lo possano capire tutti, poi, io, da credente, vedo in questo un atto di superbia di chi si vuole sostituire a Dio».
Contraddire il Secolo
La Morgia è il promotore e primo firmatario di una lettera che nei giorni scorsi è stata inviata al sito Vatican News. È firmata da dodici «omosessuali cattolici e non cattolici» in cui sollevano perplessità dopo il docufilm Francesco del regista russo Evgeny Afineevsky presentato alla Festa del cinema di Roma. «Ho visto una grande confusione e ho sentito l’esigenza di scrivere quella lettera per esprimere sgomento di fronte alla manipolazione delle parole di Francesco. Il Papa, su certe questioni, ha sempre parlato chiaro e credo che la Chiesa debba stare molto attenta a permettere che un certo tipo di messaggio sia veicolato usando la stessa figura del Santo Padre. Un certo mondo laicista non aspetta altro che questo: giustificare, sovvertendo le parole dell’unica autorità che ancora “contraddice” lo spirito del Secolo, le proprie scelte. Loro vogliono lavarsi la coscienza, ma la Chiesa deve stare attenta a non prestare loro il fianco».
Cosa dovrebbe fare? «Non sta a me dirlo, a me basta che la Chiesa sia se stessa. Come diceva santa Caterina “se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia”. I giornali in questi giorni hanno parlato di “rivoluzione”, ma la rivoluzione c’è già stata 2000 anni fa. Sono sicuro che non era intenzione di papa Francesco, ma il risultato, tocca constatare, è che il messaggio che è passato è che i cattolici debbano avallare i comportamenti di chi compra i figli in Canada, definisce la madre un “concetto antropologico”, e va in televisione a parlare di superamento della famiglia che è ormai “antropologicamente arcaica” con tanto di benedizione papale».
Una madre che dice sì e no
«Per me, cattolico, – conclude La Morgia – la Chiesa resta un punto di riferimento, un faro, una stella polare perché mi permette di elevarmi, di alzare lo sguardo, anche e soprattutto con tutte le mie mancanze. Non sono perfetto, ma proprio per questo so che quando vado in chiesa posso trovare uno stimolo, posso ritrovarmi quando sono perso. La Chiesa non deve adeguarsi al mondo, ma illuminarlo. Una “madre” dice dei “sì” e dice dei “no”. Ognuno poi è libero di agire come meglio crede. Si possono accettare o non accettare i suoi consigli, si possono seguire tutti i precetti o meno, ma non per questo smettono di essere validi, seppur esigenti. La Chiesa deve essere segno di contraddizione, non di omologazione».
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