Come affrontiamo l’islam se i canti a Messa fanno venire il latte alle ginocchia?

Di Luigi Amicone
04 Novembre 2020
Gregoriano e soul, fado e Monteverdi, laude cortonesi e musiche irlandese, gospel e il Credo bizantino, Chieffo e Mascagni. Ecco come si fa una bella "Chiesa in uscita"
Canti a Messa

Cronache di mezzo lockdown / 5

In paese sono l’unico uomo o più propriamente l’unico essere umano di genere maschile che va a Messa in un giorno feriale. Propriamente, come i tutti i posti d’Italia, le canzoni della Messa risalgono agli anni Cinquanta dello scorso secolo, fanno venire il latte alle ginocchia, quando non sono una istigazione chiara e forte a mandare il prete a quel paese.

Tenete da conto la liturgia, aveva ammonito Benedetto XVI. Perché il mistero del sacrificio di Cristo si manifesta nella liturgia. Per un po’ c’erano state le chitarre elettriche beat, la batteria in chiesa e non so a che Gen rosso o arcobaleno sono arrivati con le Messe focolarine e neocatecumenali e carismatiche.

Senza voler offendere gli altri movimenti e la Chiesa tutta delle Messe cantate con canti da Prozac, don Luigi Giussani le cose maggiori le ha dimostrate col canto. Diceva che con i nostri canti affronteremo l’islam, e mi raccomando – rivolto a Pippo Molino, io c’ero, Giussani era spinto in carrozzella da Gisella Corsico, via Porpora 127, salone delle riunioni al piano terra – «Pippo, cura il canto! Mi raccomando, i canti sono la cosa più importante del movimento!». 

Per cui è un avvenimento quando nella Messa in paese sento che questo prete sardo che ama cantare, che intona e canta anche da solo, introduce finalmente un canto nuovo. Che poi è un canto medievale gallurese che per quel che ho capito ha un ritornello che dice più o meno: «Placa o Signori a peccatori le pene du purgatoriu». È qui che ti risenti a casa.

Come il Gius ci faceva ascoltare (e si devono ancora ascoltare!) i cori dell’Armata rossa per sentire l’uomo che travalica il singulto quotidiano e si connette al Destino impegnandosi con l’Ideale creatore di vita e di popolo. Così devi sentire l’Ave Maria di un coro di Barbagia per sfiorare almeno il capello – seicento volte più grande del nanokiller del Covid – di cos’è l’uomo.

E chissenefrega del decostruzionismo femministicolo di femmine che non posso neanche definire diversamente carine quando insistono a manipolare con stucchevole pedanteria la lingua, e anteporre al buon senso atavico lo stereotipo gender delle patate bollite di Harvard. Vorrei dire ai miei amici: ragazzi, in tutti i luoghi di lockdown o villeggiatura o penitenziario in cui ci troviamo, non facciamoci mai mancare e insegniamole al popolo ammorbato dalla pigrizia dei Neanderthal clergymen le canzoni con cui Comunione e Liberazione ha plasmato la propria vita e i propri raduni.

Aprite quel libro blu e fate girare e cantare il gregoriano insieme al soul americano, il fado e Monteverdi, le laude cortonesi e le musiche sotto il drizzly irlandese, il gospel e il Credo bizantino/slavo, il più grande dei cantautori Claudio Chieffo e l’imprescindibile Adriana Mascagni.

Questo sarebbe il modo ciellino di frequentare l’ipotesi di papa Francesco di una Chiesa in uscita. E finalmente le liturgie delle Messe non avrebbero quel lugubre e distonico apparato di motivetti e melodie che ti ci addormenti sopra, cadi tra le panche e non ti rialzi più da quanto ti si sono fatti due maroni di piombo così.

Ecco, sento che a furia di accendere candele mi hanno tolto la luce della “coessenzialità” dei movimenti all’istituzione Chiesa definita da san Giovanni Paolo II e pure spiegata ai cardinali.

Perciò capitemi: io voglio molto bene ai principi della Chiesa Gianfranco Ravasi e Nunzio Galantino che firmano tutte le settimane una pagina rosa del Sole 24 Ore. Ma continuo a pensare che siano i movimenti e i carismi il sangue siberiano necessario per affrontare l’odierna battaglia di Stalingrado appoggiandosi alle braccia dell’Eterno.

Foto pxhere.com

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