Cinema – Il viaggio di Arlo nella noia, il film Pixar delude
Di Amedeo Badini
26 Novembre 2015
Il 2015 è stato un anno ricco per la Pixar, con ben due film usciti. Il primo, Inside Out, si è rivelato un successo di critica e di pubblico. Il secondo, Il Viaggio di Arlo, da ieri nelle sale italiane e da oggi in quelle americane, ha avuto una storia molto travagliata a livello produttivo – cambio di regia, spostamento di date, tentennamenti vari, molteplici riscritture, basso profilo nella comunicazione – e queste negatività si sono diffuse anche nel risultato finale. Il film ipotizza la mancata estinzione dei dinosauri, ed una loro graduale evoluzione in esseri senzienti all’interno di una civiltà agricola, intenti a coltivare la terra e a difendersi dalle incursioni predatorie di animali selvaggi, ovvero gli umani. Ed è proprio con il piccolo Spot che il giovane Arlo, fragile apatosauro in una famiglia di robusti rappresentanti della specie, dovrà avere a che fare, in un lungo viaggio per tornare a casa.
Il film altro non è che un racconto on the road di crescita e di comprensione, in cui la paura da combattere risiede dentro di noi, ed è nel nostro animo che si trovano le forze per sconfiggerle e crescere. Temi sempre attuali, raccontati però in maniera moralistica e fin troppo didascalica. Il problema del film risiede nel suo ritmo lento e metodico, in cui succede poco o nulla. Per gran parte del tempo sullo schermo recitano solo Arlo e Spot, ma la coppia non è capace di generare un’empatica attrazione per lo spettatore, nè di costruire un legame forte e intenso. Sul filo della noia si snodano anche i pochi incontri che i due fanno lungo il cammino: non sono memorabili gli schizofrenici pterodattili oppure l’ambiguo ed inutile triceratopo. Più interessanti i T-Rex, qui preistorici mandriani al pascolo.
Il film soffre di una sceneggiatura priva di mordente e di guizzi, e viene solo in parte riscattato da un portentoso bagaglio tecnico. Sono gli sfondi a farla da padrone, realizzati in una maniera perfettamente realistica: i campi lunghi, le panoramiche di una natura crudele, vallate inesplorate e cieli minacciosi riempiono lo schermo, e occupano lo spazio narrativo, in un vero “realismo pittorico”. Purtroppo c’è solo questo, mentre la storia annega in una valanga di luoghi comuni e di mancanza di empatia. I grandi silenzi e gli ampi spazi non riescono a regalare bellezza allo spettatore, ed Arlo non è capace di farsi apprezzare: in questo modo i 100 minuti di durata diventano un vero e proprio macigno. La Pixar ha osato molto in un film fatto di solitudine e di lotta continua contro la natura, ma è mancato il cuore: in Wall – E ce l’aveva fatta, in questo nuovo lavoro no.
Nota a margine per il cortometraggio d’accompagnamento, Sanjay’s Super Team, storia quasi vera dello scontro tra due culture e generazioni diverse. La religione indiana versus quella dei cartoni animati, visti dal regista Sanjay Patel da piccolo. Non è solo l’azzeccata fusione tra 2D e 3D, o le mirabolanti inquadrature, ma è l’affettuosa e sincera visione del mondo che esce fuori a rimanere impressa. Una felice sorpresa, il piatto migliore di tutto lo spettacolo. Da non perdere.
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