
Chissà cosa diceva Dio ai primitivi delle caverne che guardavano il suo cielo alla luce rossa del fuoco
L’astronomo valdostano Guido Cossard afferma di avere scoperto, scolpita su un masso di granito sul Plan des Sorcières, a Lillianes, vicino a Gressoney, una mappa preistorica delle Pleiadi. Nella foto sui giornali sette buchi più grandi e due più piccoli, incisi rozzamente, riproducono la linea di Alcione, Elettra, Merope e delle altre sorelle, nella costellazione del Toro, a 385 anni luce dalla Terra. Le distanze fra una stella e l’altra appaiono imprecise, ma, spiegano gli astronomi, le stelle si muovono. Il disegno potrebbe riprodurre le Pleiadi di molte migliaia di anni fa. Vorremmo che il professor Cossard avesse ragione. Se ha ragione, quella di Lillianes è la più antica mappa astronomica dell’umanità. In una preistoria persa indietro nei millenni, tra le caverne di una tribù di cacciatori, un uomo di notte stava a guardare il cielo. Forse vegliava che i lupi non attaccassero i figli addormentati? Alte in cielo, lucenti le stelle. Sembravano, agli occhi dell’uomo della pietra, raccolte in gruppi, come famiglie, o sorelle. Che anche loro procedessero in branchi, come gli uomini, e si stringessero vicine per paura del buio?
Ogni notte l’uomo quando gli altri dormivano alzava lo sguardo, a contemplare il cielo immenso. E, come fanno i bambini, si chiedeva chi aveva fatto quelle luci tremanti, e le aveva ordinate, così che quelle obbedienti restavano in fila. Domandava in silenzio il guardiano attonito nel silenzio delle montagne: chi sei tu, e come ti chiami? A Giobbe Dio avrebbe detto un giorno, sfidandolo: puoi tu annodare i legami delle Pleiadi, o sciogliere i vincoli di Orione? Ma i primitivi di Lillianes erano anime bambine. E chissà cosa diceva Dio, di notte, agli uomini delle caverne che guardavano il suo cielo, nella luce rossastra del fuoco. Un’alba, allo svanire delle stelle, l’uomo non volle perderle. Per tante notti le aveva fissate, che ne conosceva a memoria la processione. Scelse una pietra aguzza. Poi, pazientemente, prese a battere nella roccia. I compagni, cacciatori e guerrieri, non capivano. Solo i bambini venivano a guardare, curiosi. Forse quell’uomo non possedeva che primitive parole. Indicava il cielo, e continuava a picchiare sul granito. Quando ebbe finito passò le dita grosse fra le sue Pleiadi. La mano tozza carezzava quel cielo di pietra.
Sarebbe bello, se fosse andata così. Quei sette fori geometricamente disposti, primo stupore di un uomo, in una notte di guardia. Con una meraviglia indicibile nel petto. Troppe domande, e nessuna parola. Gli altri, attorno, ancora in un limbo primitivo: cacciare, mangiare, sopravvivere. Quell’uomo solo con la sua domanda, all’alba della storia. Poi abbiamo costruito altari e statue, poi abbiamo innalzato cattedrali. Ma all’inizio forse c’è stato uno sguardo incantato, sotto le Pleiadi. E una grossa mano intenta a inciderne le orme, perchè non svanissero all’alba. Per toccare, accarezzare un pezzo di infinito.
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