La Chiesa ricorda Gianna Beretta Molla, la santa del matrimonio e della quotidianità

Di Giovanni Fighera
28 Aprile 2015
Storia e lettere della santa che si sacrificò per far nascere la figlia. Una testimone dell’amore vero

beretta-mollaSiamo bombardati in mille modi (dai film ai romanzi, dalle riviste agli articoli giornalistici) da messaggi che inneggiano all’edonismo sfrenato e ad un becero carpe diem. Se apriamo una pagina di internet il termine amore è, spesso, sostituito dalle parole «sesso», «piacere» e «tradimento». Piuttosto che del rapporto matrimoniale si preferisce parlare di convivenze, di rapporti momentanei e fuggevoli. Insomma, oggi è trasgressivo usare la parola «matrimonio». Oggi, allora, vorrei proporre una testimone che l’amore vero, quello fatto di premure semplici per il consorte e per i figli, della gioia e del dolore, della fatica e del sacrificio, è bello, esaltante, eroico e soprattutto desiderabile, perché ci rende più felici.

Il 16 maggio 2004, alla presenza del marito, dei figli e dei nipoti, papa Giovanni Paolo II ha canonizzato Gianna Beretta Molla per proporla a tutti noi come modello da imitare. In quel giorno «prendeva finalmente forma e concretezza il desiderio di tanti di vedere sugli altari donne ed uomini del laicato cattolico, donne ed uomini sposati e divenuti santi vivendo il sacramento dell’amore cristiano nel Signore» (Elio Guerriero).

Era morta il 28 aprile 1962 colei che è stata definita la santa del matrimonio e della quotidianità. Perché ha ancora senso proporre questa figura ai giovani e agli adulti di oggi? Le lettere di Gianna ci aiutano a capirne meglio le ragioni. Fitto e intenso è l’epistolario che Gianna scrive sia durante il fidanzamento durato tre anni (dal 1952 al 1955) che nei pochi anni di matrimonio (dal 1955 al 1962). «Le Lettere al marito di santa Gianna sono […] come una luce concessa in tempi difficili per riaffermare che il matrimonio è dono di grazia, è via di un uomo e una donna che con il loro amore danno espressione e visibilità all’amore bello e straordinario di Dio» (Elio Guerriero).

Nei mesi del fidanzamento ufficiale, dal febbraio 1955 al settembre 1955, le epistole sono tutte animate dal desiderio di rendere felice il futuro marito. Il 21 febbraio 1955 Gianna scrive: «Vorrei proprio farti felice ed essere quella che tu desideri: buona, comprensiva e pronta ai sacrifici che la vita ci chiederà. […] Ora ci sei tu, a cui già voglio bene ed intendo donarmi per formare una famiglia veramente cristiana». La gioia e il senso di gratitudine per il dono imprevisto che è stato l’incontro con il futuro marito Pietro si uniscono alla consapevolezza che tutti i suoi sforzi non basteranno a realizzare ciò. Questa coscienza si traduce in domanda e preghiera che Colui che ha avviato l’opera la porti a termine. La lettera di tre settimane più tardi è tutta animata da questo sentimento: «Pietro, potessi dirti tutto ciò che sento per te! Ma non sono capace, supplisci tu. Il Signore proprio mi ha voluto bene. Tu sei l’uomo che desideravo incontrare, ma non ti nego che più volte mi chiedo: “Sarò io degna di lui?”. Sì, di te, Pietro, perché mi sento così un nulla, così capace di niente che, pur desiderando grandemente di farti felice, temo di non riuscirvi. E allora prego così il Signore: “Signore, tu che vedi i miei sentimenti e la mia buona volontà, rimediaci tu e aiutami a diventare una sposa e una madre come Tu vuoi e penso che anche Pietro lo desideri”. Va bene così, Pietro?».

Il 24 settembre 1955 Gianna e Pietro si sposano. Gianna è sempre più desiderosa di compiere la volontà di Dio nel matrimonio. Si rende conto delle proprie manchevolezze e chiede aiuto e correzioni al marito: «Pietro, se vedi che faccio qualcosa che non va bene, dimmelo, correggimi, hai capito? Te ne sarò sempre riconoscente». Umiltà e riconoscimento che l’altro ci è dato per camminare con e verso Cristo: sono questi due tratti fondamentali del matrimonio di Gianna, sostenuto sempre dalla preghiera e dalla offerta a Cristo. La letizia dell’animo di Gianna non è scevra di quel sano realismo cristiano che permette di guardare la realtà nella sua complessità partendo dall’esperienza di quanto accade, non esaltando tutto acriticamente, ma nel contempo non ripudiando ciò che può essere foriero di sacrifici, sofferenze o dolore.

Non è un atteggiamento improntato a masochismo, ma semplice e spontaneo dono di sé all’altro, alla presenza di quel Tu, Cristo, che li ha chiamati alla strada vocazionale del matrimonio, che è lì nell’unione sacramentale e che porterà a termine le opere avviate dai due sposi. Gli sposi ricevono «il Sacramento dell’Amore» e diventano «collaboratori di Dio nella creazione» dando «a Lui dei figli che Lo amino e Lo servano». Così, con gioia la coppia si apre al dono della vita nascente. Vengono alla luce Pierluigi, Mariolina, Laura. La quarta gravidanza sarà, però, accompagnata dalla notizia della malattia di Gianna. La presenza di un fibroma nell’utero costituisce un pericolo per la vita della madre. Solo l’aborto, in base alle conoscenze e competenze mediche dell’epoca, potrebbe rappresentare una salvaguardia per la sua vita.

Gianna decide di portare avanti la gravidanza, si fa asportare il fibroma, cosciente del grave rischio che la sutura praticata nell’utero possa cedere. Durante la degenza in ospedale per l’intervento scrive ai figli: «Carissimi miei tesori, papà vi porterà tanti tanti bei bacioni grossi, vorrei tanto poter venire anch’io, ma devo stare a letto, perché ho un po’ bibi. Fate i bravi, ubbidite alla Mariuccia e alla Savina […]. Vi ho qui nel cuore e vi penso ogni momento. Dite un’Ave Maria per me, così la Madonnina mi farà guarire presto, e potrò tornare a Courmayeur a riabbracciarvi e stare con voi». Il 20 aprile 1962 Gianna entra in ospedale dove viene sottoposta a taglio cesareo. Nasce Gianna Emanuela. Subentra, però, una peritonite. In una lenta agonia si consumano gli ultimi giorni in ospedale.

Il 28 aprile all’alba, in seguito a sua richiesta, viene riportata a casa, dove morirà alle 8 del mattino, accanto al marito e ai figli.

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8 commenti

  1. Sebi

    Che storia orribile! Una donna che rinuncia a curarsi e a vivere solo perché è incinta e così, deliberatamente, decide di lasciare i suoi bambini orfani della mamma. Al posto della figlia, sapendo questo, io non riuscirei a vivere. No, questa storia è bruttissima, non mi piace proprio per niente.

    1. SUSANNA ROLLI

      “Solo l’aborto…potrebbe rappresentare una salvaguardia per la sua vita”, cita l’articolo.
      Sai, Sebi, che ci vuole un gran “coraggio” a stendersi in un lettino d’ospedale -dove si dovrebbe CURARE, DIFENDERE E SALVARE OGNI vita, piccola o grande che sia- ed ELIMINARE il piccolo che hai in seno e che ha già un cuoricino che batte, che fa POM-POM? Eppure, questo per tante mamme NON E’ UN PROBLEMA; infatti è così, non è un problema, è IL problema. Che i santi risolvono presto.

      1. Sebi

        Affari suoi se lei crede ai santi. Io non ci credo. Affari suoi se lei crede che sia santa una donna che ha il coraggio di lasciare orfani i suoi bambini, che ci sono già e hanno bisogno di lei, per un altro che ancora non c’è. Per me non è affatto una santa. Io non potrei vivere sapendo che mia madre è morta per colpa mia e che i miei fratelli sono orfani di madre per colpa mia. Questa presunta “santa” ha fatto la sua scelta: per lei andava bene così. Ma non è un modello per nessuna donna e la sua scelta può non andare bene per le altre. Se una donna vuole abortire ha il diritto di farlo. Non spetta a nessun altro giudicare una scelta che per qualsiasi donna è sempre difficile e dolorosa. Pensi ad esempio alle donne che subiscono violenza: io non ho nulla da dire se una donna si tiene ugualmente il figlio di un’esperienza così traumatica, ma non mi sento di giudicare chi invece decide diversamente. E se una donna rischia di perdere la vita, io non me la sento di dire che dovrebbe ugualmente portare avanti la gravidanza, anche a costo della sua stessa vita. A molte donne della “santità” non glielo frega niente, non tutte sono eroine e in questi casi ci sono anche donne che preferiscono abortire e salvarsi la pelle. Io non me la sento di condannarle.

        1. SUSANNA ROLLI

          Sebi, neanche io mo sento di condannarle, c’è già chi ci giudica(per chi ci crede ). Mi rattrista molto il fatto che debba essere il piu’ forte -SEMPRE E COMUNQUE- a “farla franca”: tutto qui. Lei parla di “scelta difficile e dolorosa”: mi creda, è piu’ DIFFICILE e DOLOROSA per chi ci lascia le penne, e viene gettato via come “materiale di scarto”!!! E’APPURATO CHE I BIMBI TRUCIDATI SENTONO MOLTO MALE, HANNO MOTI DI RIBELLIONE ALLA MORTE CHE AVANZA….: e loro, ,ovviamente, non hanno nessun potere di decisione. Attendono la morte….causata dalla mamma. “Cattive mamme” -diceva don Benzi- anche se per tutti e’ sempre disponibile il perdono…Ciao.

        2. SUSANNA ROLLI

          “….bambini che ci sono già” -dici tu; anche il bambino che è nella pancia della mamma c’è gia’, ed anche tutto bello bellino ben formato, solo che non si vede- o meglio- si vede solo dall’ecografia (e la mamma lo “sente”, ha già pure le mammelle che tendono a gonfiarsi). Non esiste il figlio A e il figlio B, esistono i figli,PUNTO. Quindi ?

  2. Maurizio

    Ho visto qualche anno fa al Meeting una mostra sulla loro storia d’amore:non una telenovela ma l’espressione che il vero Amore é quello con l’A maiuscola cioè quello che ha Lui al centro ed al cuire dell’esistenza umana.Il sempre che s’incontra con il presente,il Mistero che si incontra con la libertà dell’uomo….come diceva S.Benedetto:”Il quotidiano si fa eroico e l’eroico si fa quotidiano”.Che lezione per la mentalità moderna,oggi dominante,tutta segnata dal provvisorio,dallo stare insieme secondo convenienza e fin che essa dura,dalla sessualità ridotta a puro piacere e non espressione di una donazione reciproca finalizzata alla procreazione.Altro che matrimoni omosessuali,uteri in affitto,mamme surrogate e tecniche speciali per suplire al”diritto”di un figlio.Guardate e considerate la loro felicita nel donarsi reciproco e donare la propria vita perché la vita trionfi!!

  3. SUSANNA ROLLI

    Grazie Gianna, grazie Pietro della bella vostra testimonianza…;non è mai troppo tardi per testimoniare, e per sperare.

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