Chi ha fatto i tutori e i plantari per Boateng, Ibra, Cordoba e Castrogiovanni? «Noi»

Di Elisabetta Longo
11 Ottobre 2012
«Dal tutore alla mano di Boateng a quello per Castrogiovanni, in occasione di Italia-Scozia, al parastinchi di Zlatan Ibrahimovic, alla protezione facciale per Cordoba». Tutte opere di Ortholabsport.

Sulla parete arancione spiccano, una vicina all’altra, foto di atleti, di pezzi grossi della storia del calcio, della ginnastica italiana, del rugby, della pallavolo, dello sci. Ogni ritratto è autografato, e reca impresso dediche affettuose, di ringraziamento e riconoscimento per il lavoro svolto da Ortholabsport, così come le maglie dei giocatori sparse qua e là per il centro di ortopedia sportiva. Perché qui in corso San Gottardo 3 a Milano, ogni atleta infortunato che arriva viene seguito in modo speciale e unico, come unico sarà il tutore confezionato per lui da Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni, i titolari. In soli sei anni di attività, il passaparola tra gli atleti che si sono riappropriati dei propri movimenti è stato intensissimo, ed è così che, a poco a poco, la parete arancione ha iniziato a popolarsi di fotografie.

«L’ultima appesa è quella di Kevin Prince Boateng, centrocampista del Milan, venuto da noi per un tutore alla mano. Chiaramente realizzato in rosso e nero e con il numero 10 impresso sopra», racconta Lucilla spiegando come i tutori applicati agli atleti vengano spesso personalizzati in laboratorio, da un grafico specializzato nel soddisfare i desiderata degli sportivi. La prima richiesta di questo genere era stata fatta dall’ormai ex giocatore dell’Inter Ramiro Cordoba, per una protezione facciale in colori nerazzurri. Un’altra richiesta fu quella di Giampaolo Pazzini con la scritta “pazzo”, quando giocava per la Sampdoria, o ancora il parastinchi di Zlatan Ibrahimovic, allora giocatore dell’Inter, ma con una “sospetta” richiesta di un drago rosso su sfondo nero.

Lucilla Pezzoni è davvero fiera di aver detto di sì alla proposta di Stefano Duchini di aprire un centro di ortopedia insieme. «Io lavoravo nel negozio dei miei genitori, poco lonano da qui, che prima dei miei genitori era dei miei nonni, quindi si può dire che sia cresciuta a pane e tutori», spiega ridendo. «Siamo soci e la nostra unione funziona anche perché ci occupiamo di aspetti diversi, io mi occupo della gestione degli ospedali, della contabilità, del rapporto con i clienti, e il mio partner invece è alle prese con lo studio delle problematiche dei clienti e la loro relativa soluzione». Uno studio che avviene in una parte apposita del centro Ortholabsport e si avvale di un tapis roulant speciale, in grado di fare la cosiddetta “gait analisys”, cioè lo studio del movimento e della deambulazione del paziente. Il passo successivo è l’“angle test”, necessario per rilevare eventuali dismetrie tra le gambe. In questo modo è possibile progettare un plantare perfetto, pronto solitamente in una settimana. A quel punto lo sportivo torna per la prova, dopo la quale è sempre possibile apportare nuovi cambiamenti. «E gli sportivi amatoriali sono esigenti tanto quanto quelli professionisti».

Se Lucilla è un fiume di parole mentre illustra le dinamiche aziendali di Ortholabsport e mostra la nuova sede appena inaugurata, Stefano ha il piglio meticoloso dell’artigiano talmente fiero del suo lavoro da risultare umile, mentre spiega, con gli occhi pieni di emozione, che fa quello che fa perché è la cosa che gli riesce meglio fare. «In Italia l’idea di costruire plantari personalizzati non c’era, soprattutto se legata al mondo degli sportivi, così ho pensato di procedere in questa direzione. Già prima con il centro che avevo, e poi dopo con l’inizio delle attività di Ortholabsport. Il fatto che gli atleti parlino negli spogliatoi e si indichino a vicenda che strategia curativa stanno seguendo ci ha aiutato tantissimo per farci conoscere, in un modo inaspettato e inatteso».

Il passaparola negli spogliatoi
Se dal laboratorio di Stefano escono circa 3 mila plantari l’anno, per quanto riguarda altri tipi di tutori è più difficile conteggiare. «Dipende letteralmente da quanto e come si infortunano gli atleti. Per esempio, era un brutto infortunio quello di Martin Castrogiovanni, che durante Italia-Inghilterra, uno dei match del Sei Nazioni di quest’anno, si era fratturato una costola. Serviva un tutore per riportarlo in campo in tempo per Italia-Scozia, e l’abbiamo progettato noi. Solo che ci erano state riferite delle misure inesatte per lo spessore. E in partita, in una delle tante mischie in cui si è buttato quel gigante buono di Castrogiovanni, il tutore si è rotto. Dobbiamo stare attentissimi ai parametri da rispettare perché in certi casi si potrebbe addirittura scivolare nel doping tecnologico», spiega serio Stefano. Che però si illumina se parlando di doping tecnologico si accenna a Oscar Pistorious. «Lui è un eroe, un eroe vero. Non a caso il mio sogno e progetto più grande sarebbe quello di potermi dedicare agli atleti paralimipici».

Ultima atleta olimpica seguita, invece, è stata Elisa Di Francisca, schermitrice d’oro di Londra 2012, alla quale Ortholabsport ha costruito un plantare. «Se costruiamo un caschetto, il nostro lavoro è sotto gli occhi di tutti. Ma se si tratta di qualcosa di nascosto, come un plantare, lo sa solo l’atleta, e noi che lo guardiamo in tv. Ogni volta che seguo le gare di uno sportivo che abbiamo rimesso in sesto sono contento che anche per il nostro impegno sia arrivato alla vittoria, mi emoziono come se fossi il suo allenatore o un suo familiare». E tenendo conto del fatto che Ortholabsport si prende cura della Fisi (federazione italiana sport invernali), della Fir (federazione italiana rugby), dell’Inter, Milan, dell’Atalanta, della Sampdoria, del Chelsea, dello Shakhtar Donetsk, del Fulham, e della Nazionale volley donne, Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni hanno davvero una grande e bella famiglia.

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