

Quest’anno sono 110 anni da quando è stato pubblicato (nel 1908) quel capolavoro che è Ortodossia del grande Chesterton: mi aspettavo che i cattolici si ricordassero di questa data, ma ciò non è avvenuto, il che conferma la tendenza a dimenticare la grande storia cristiana che ci ha preceduto, occupati come siamo a farci abbagliare dalle pazzie del nostro tempo. Ma tant’è. Personalmente, ho approfittato di questo anniversario per rileggere Ortodossia, che si è riconfermata in tutta la sua capacità di coinvolgere e di confermare la mia fede.
Chesterton è stato ed è un grande. Pio XI, alla sua morte, lo definì un difensore della fede ed effettivamente lo è stato. Il compianto cardinal Biffi, che aveva lui stesso un animo chestertoniano, così lo ha ricordato nella presentazione del libro di G.K.C. Perché sono cattolico, pubblicato da Gribuadi: «La Provvidenza ha suscitato quest’uomo come antidoto efficace contro tutti i veleni che sono imperversati lungo tutto il secolo XX, ma che si sono fatti anche più virulenti nella sua seconda metà, quando l’avventura terrena di Chesterton si era ormai conclusa da un pezzo. Nei suoi scritti – principalmente nei saggi, ma anche nell’opera narrativa – si trovano denunciate praticamente tutte le nostre follie… Purtroppo la cristianità – che ha dato discreta attenzione a Chesterton fino alle soglie del Concilio Vaticano II – ha cominciato a dimenticarsene proprio quando il suo magistero sarebbe stato più necessario per prevenire e contrastare i nostri guai».
Questa volta, la rilettura di Ortodossia mi ha particolarmente colpito, perché mi ha confermato in alcune parole e in certi atteggiamenti che ho sperimentato incontrando la persona che mi ha introdotto nella fede cattolica e cioè il Servo di Dio don Luigi Giussani. Attraverso don Giussani ho incontrato Cristo e la Sua Chiesa. La lettura di Chesterton ha avuto, in me, la funzione di confermarmi la verità di ciò che ho incontrato. Di questa duplice grazia non posso che essere solo grato allo Spirito di Dio.
La prima parola circa la quale ho trovato sorprendente consonanza tra quei due grandi uomini di Chiesa è la parola “libertà”. Fin dalle sue primissime esperienze e dai suoi primissimi scritti, don Giussani metteva sempre in risalto l’aspetto della libertà. Nel suo primo “libretto verde” del 1959, commentando il fatto che il richiamo cristiano deve essere «deciso come gesto», don Giussani scrive che «è alla persona singola e inconfondibile che il richiamo cristiano si rivolge. Più precisamente, è alla sua libertà che esso si propone» (Il cammino al vero è un’esperienza, Rizzoli, pag. 28). E nel commento al rapporto tra persona e comunità si legge: «La grandezza della libertà umana fa sì che essa non sarà quieta se non in una comunità di tutti, “cattolica”» (pag. 45). E quando commenta la realtà del “raggio”, don Giussani usa, innanzitutto, la parola libertà: «La coscienza è l’iniziale condizione della libertà… Gs sorge come coscienza personale del richiamo cristiano» (pag. 57). Più avanti negli anni, don Giussani, durante gli esercizi degli studenti del Clu, ebbe a pronunciare queste folgoranti parole: «Io ho scommesso tutto sulla vostra libertà». Nel libro Perché la Chiesa (Luigi Giussani, Rizzoli, pag. 253), il nostro caro sacerdote brianzolo raggiunge uno dei punti più vertiginosi del suo insegnamento, quando scrive: «Osserviamo che, proprio perché l’uomo è invitato dal Dio incarnato a partecipare alla sua realtà, per ciò stesso partecipa alla libertà di Dio. Se Dio è libero, e non può non esserlo, se Dio ha voluto comunicare all’uomo la sua realtà divina, gli comunicherà anche la dimensione della libertà. E lo ha fatto dalle origini». In uno dei suoi ultimi interventi dal vivo, don Giussani affermava che il più profondo mistero non è tanto la creazione in sé, ma il perché Dio abbia fatto l’uomo talmente libero da rendergli possibile la rivolta verso lo stesso Dio. Per il Servo di Dio, dunque, la parola libertà era assolutamente centrale per la sua personale esperienza e per il suo insegnamento.
Chesterton ha dedicato a questo aspetto dell’esperienza umana pagine fondamentali, da una parte mettendo in evidenza come la cultura moderna abbia stravolto il significato della stessa parola libertà e dall’altra esaltando anche poeticamente la sovranità della libertà di Dio. Sotto il primo profilo, Chesterton è pungente quando critica il c.d. “libero pensiero”, che definisce come «la migliore delle misure di sicurezza contro la libertà» (Ortodossia, Lindau, pag. 154) e poi aggiunge: «L’uomo che vediamo tutti i giorni ha la mente troppo occupata per credere nella libertà. Lo si tiene tranquillo con la letteratura rivoluzionaria. Lo si tiene tranquillo e al suo posto con il costante avvicendamento di filosofie scatenate… nessun ideale durerà abbastanza a lungo da essere messo in pratica o realizzato in parte. Il giovane uomo moderno non modificherà mai il proprio ambiente, perché vorrà sempre cambiare idea». Chesterton lega la possibilità di essere veramente liberi alla scelta di rimanere legati a punti fissi ineliminabili, come quello portato da Cristo 2000 anni fa. «Una regola rigida non solo è necessaria per governare, è necessaria anche per ribellarsi» (pag.156). Cambiando ogni vent’anni il punto di riferimento ideale, non si diventa più liberi, ma si finisce con l’essere servitori del potere del momento. Lo abbiamo visto con i protagonisti del ’68, che sono partiti “rivoluzionari”, ma che sono finiti con il fare i direttori dei Tg, dei giornali, dei talk show, cioè si sono messi a servire e assecondare il potere di turno. I cristiani hanno cambiato in meglio il mondo fino a quando sono rimasti fedeli agli ideali portati da Cristo.
Sotto il secondo profilo, Chesterton, polemizzando con i deterministi che, in fondo, negano qualsiasi tipo di libertà sia nell’universo che in ogni persona, ha dato una bellissima immagine della libertà di Dio, che ha così espresso: «Può darsi che il sole sorga regolarmente perché non è mai stanco di sorgere… Ciò che intendo dire lo si può vedere, per esempio, nei bambini quando fanno un gioco o uno sport che li appassiona particolarmente… I bambini hanno una vitalità esuberante e sono pieni di istintività e di entusiasmo: per questo vogliono sempre ripetere e non cambiare quello che fanno. Dicono ogni volta: “fallo ancora”, e l’adulto lo ripete fino allo sfinimento. Perché i grandi non sono abbastanza forti per godere della monotonia, ma forse Dio lo è. Può darsi che ogni mattina Dio dica “fallo ancora” al sole e ogni sera dica “fallo ancora” alla luna… Probabilmente possiede in eterno lo stesso entusiasmo dell’infanzia; noi siamo invecchiati perché abbiamo peccato e nostro Padre è più giovane di noi». Gesù ci ha invitato ad essere semplici come i bambini, probabilmente perché ha visto nel Padre tale semplicità. Solo un animo fanciullo riesce ad essere veramente libero, come è l’animo di don Giussani e di Chesterton (e di Benedetto XVI).
La parola “realtà” è una delle più usate da don Giussani in tutto il suo percorso educativo. Ancora nel libro prima citato sulla Chiesa (pag. 56-57), l’autore sottolinea come esista, nella cultura moderna, «la dimenticanza di un fattore della realtà… Ciò che si tende sempre a dimenticare è la realtà nella totalità dei suoi fattori». E nel libro Ciò che abbiamo di più caro (BUR-Rizzoli) a pagina 515 scrive: «La realtà è segno, e questa è la razionalità, la ragionevolezza avverata, l’uomo che diventa uomo: il significato di questo segno è diventato carne, ed è irreversibile». E ancora, a pagina 410, «la presenza di Cristo deve passare attraverso la realtà. La realtà: il mangiare e il bere, il vegliare e il dormire, il vivere e il morire. Il bene, il vero, è riconosciuto dentro la realtà». Uno dei capolavori di don Giussani, Il senso religioso, in fondo, è un inno alla realtà, perché, in buona sostanza, ci dice che, se siamo leali con la realtà vera e totale, non possiamo non arrivare ad intuire che tutto dipende da qualcosa di oltre e quindi a porci la domanda che porta a Cristo.
In Ortodossia, G.K.C. spiega che egli, essendo sempre stato leale con i fatti della vita, ha formulato un pensiero che pensava essere originale, approdando su una propria isola: ma, arrivato qui, si è accorto che quell’isola era la Chiesa Cattolica, a cui è approdato come alla propria casa. Ha fatto il giro del mondo per approdare a casa propria. Chesterton ha dimostrato tutto il suo realismo riferendosi continuamente all’uomo “comune”, cioè all’uomo non ideologizzato, non rovinato dalle idee “pazze” del mondo razionalista. L’uomo comune è quello a cui piace la birra, che si innamora della donna, che lavora, che soffre, che è immerso nella realtà vera ed è lui il vero saggio che ha Dio nell’orizzonte della propria vita. Il “pensiero unico” di oggi sta cercando proprio di far fuori questo uomo comune, cioè normale, cioè reale. Richiamando tutti alla realtà, don Giussani e Chesterton danno un grande contributo alla sanità mentale dell’uomo di oggi.
Nell’introduzione al libro Il cammino al vero è un’esperienza, don Giussani così ha scritto: «Salendo per la prima volta i tre gradini d’entrata del Liceo Berchet in cui fui mandato a insegnare religione, avevo chiaro che si trattava, pur nella coscienza dei miei limiti, di rifare l’annuncio del cristianesimo come avvenimento presente, umanamente interessante e conveniente all’uomo che non voglia rinunciare al compimento delle sue attese e all’uso senza riduzioni del dono della ragione». Una delle grandi battaglie combattute dal nostro Servo di Dio è stata proprio quella di annunciare e dimostrare l’assoluta compatibilità tra fede e ragione; anzi, l’assoluta necessità per la ragione dell’esistenza della fede e viceversa. Da qui, la necessità dei cristiani «di testimoniare la posizione religiosa come umanamente più completa, per affrontare i problemi di ordine morale, sociale e politico che si incontrano nella convivenza».
Chesterton ha dedicato moltissima parte dei suoi scritti proprio alla difesa della ragione, che vedeva valorizzata solo nella dottrina e nella prassi della Chiesa Cattolica. Il capitolo 2 di Ortodossia è intitolato “Il Pazzo”, che egli identificava con l’intellettuale razionalista moderno, con una serie molto arguta e anche divertente di osservazioni. G.K.C. scrive il motivo per il quale si decise a scrivere questo libro. Parlando con un importante editore, quest’ultimo, riferendosi ad un certo personaggio disse: «Quell’uomo farà strada perché crede in se stesso». Di fronte alle perplessità dimostrate dal nostro autore, l’editore rispose: «Ma se un uomo non deve credere in se stesso, in che cosa deve credere?». Al che GKC replicò: «Vado a casa a scrivere un libro in risposta a tale domande». Ed ha scritto Ortodossia, cioè l’inno alla Chiesa Cattolica, nella quale, peraltro, entrò ufficialmente solo 14 anni più tardi, nel 1922. E la polemica più insistita in tale libro è proprio contro la riduzione razionalista che la cultura moderna fa della ragione. A questo proposito egli scrive che «il pazzo non è l’uomo che ha perso la ragione. Il pazzo è l’uomo che ha perso tutto tranne la ragione», come il razionalista dei nostri tempi, che pretende di dire cose nuove e invece dice semplicemente cose “pazzesche”, come è evidente, ad esempio, sul tema del “gender”, dove, addirittura, deve negare la pura realtà per far valere le proprie ragioni, esattamente come il pazzo che si crede di essere Napoleone è abilissimo nel darne le ragioni.
E a questo punto Chesterton ci offre una immagine sorprendente e convincente: egli paragona il razionalista (cioè l’ideologo impazzito) al serpente che si morde la coda, cioè ad un cerchio che gira continuamente su se stesso senza mai progredire, rimanendo perennemente solo se stesso, cioè “pazzo”. Il simbolo del pensatore cristiano, invece, è la Croce, perché essa, «anche se al suo centro ha una collisione e una contraddizione, può estendere le sue quattro braccia per sempre, senza alterare la sua forma. Poiché ha un paradosso al centro, può crescere senza cambiare. Il cerchio è destinato a tornare su se stesso. La croce apre le braccia ai quattro venti; è un segnale per i liberi viaggiatori». Geniale e fantastico! G.K.C. conclude il suo inno alla ragione cristiana con queste parole: «L’uomo può capire ogni cosa grazie all’aiuto di ciò che non capisce. Il logico morboso cerca di rendere tutto chiaro e riesce a rendere tutto misterioso. Il mistico accetta che una cosa rimanga misteriosa, e tutto il resto diventa chiaro». Penso che si capisca perché Chesterton mi ha confermato ciò che mi ha trasmesso don Giussani.
In occasione del quarantennale della nascita del movimento di Comunione e Liberazione (1954-1994), don Giussani scrisse un messaggio di propria mano. Prima di leggerlo, mi aspettavo, mondanamente, di trovare una sorta di compiacimento per quanto avvenuto in quei 40 anni. Invece, prima di riferirsi con tenerezza alla nostra «ingenua baldanza che ci caratterizza», don Giussani così si esprimeva: «Man mano che maturiamo, siamo a noi stessi spettacolo e, Dio lo voglia, anche agli altri. Spettacolo, cioè, di limite e di tradimento, e perciò di umiliazione…». La cosa mi colpì molto e mi costrinse ad approfondire tutto il tema del nostro peccato e della nostra incapacità di essere buoni fino in fondo, cioè a capire più chiaramente che Cristo è venuto tra di noi proprio per porre rimedio a questa nostra situazione. Don Giussani ebbe poi modo di esprimersi in modo commovente davanti a san Giovanni Paolo II ed agli altri movimenti ecclesiali, quando definì l’uomo “mendicante” di Cristo e Cristo “mendicante” dell’uomo. L’uomo mendicante perché peccatore e Cristo mendicante perché ci vuole salvare. Sublime!
Chesterton è tornato spesso sul tema del nostro peccato, che egli usava indicare con il termine “caduta”. Scriveva che non si capisce nulla dell’uomo se non si parte dalla considerazione che egli è “caduto”. A chi gli obiettava che il mistero del “peccato originale” non è dimostrabile, egli replicava affermando che esso è il mistero più dimostrabile e più evidente: basta guardarsi intorno o leggere i giornali. E a pagina 171 di Ortodossia scrive: «Un cristiano non può dire, come dicono tutti gli uomini moderni a pranzo o a colazione: “un uomo di quel rango sociale non prenderebbe bustarelle”. Perché è parte del dogma cristiano che un qualsiasi uomo di qualsiasi rango sociale possa prendere bustarelle». Se non si parte da questa evidente considerazione, si diventa moralisti o giacobini (e forse sono la stessa cosa). I nostri due grandi amici ci hanno insegnato che solo partendo dalla considerazione che tutti hanno il peccato originale (compresi i giudici, gli scribi ed i farisei di ogni tempo), possiamo cominciare ad essere un po’ giusti e meno violenti nella nostra ipocrisia.
Sia il Servo di Dio don Giussani che il grande Chesterton (auspico che anche lui diventi almeno servo di Dio) erano sommamente innamorati di Santa Madre Chiesa e lo hanno ampiamente dimostrato con tutta la loro vita. Soprattutto, hanno sempre annunciato e parlato della Chiesa nei suoi termini positivi, sottolineando sempre gli aspetti divini che Essa, pur dentro un corpo molto umano, è chiamata a proclamare a tutti gli uomini e le donne di ogni tempo. Scrive don Giussani: «Una unità tanto assolutamente imprevedibile quanto indissolubile fa della Chiesa la redenzione della comunità umana, l’ideale avverato della comunità». E poi: «La realtà intera di Gesù Cristo è questo “corpo mistico”, come lo chiama san Paolo, o la Chiesa come la chiama la storia». E ancora: «La comunità della Chiesa è dunque il volto che la realtà di Cristo assume nella nostra vita». E poi, don Giussani ha scritto un intero libro (Perché la Chiesa) per indicarla all’uomo di oggi come la strada conveniente per la nostra vita, proprio perché la Chiesa è una vita, è il corpo misterioso di Cristo essendone la continuità, è una comunità visibile che percorrerà tutta la storia. Spero che molti cattolici abbiano a leggere tutto ciò che Giussani ha detto e scritto circa la Chiesa, perché oggi mi pare che prevalga la strana moda, anche da parte di molti ecclesiastici, di sottolineare innanzitutto i difetti umani della Chiesa, invece che proclamarne la sua funzione divina.
Cosa che, invece, ha fatto Chesterton, quando ha scoperto che la Chiesa Cattolica era il solo luogo in cui egli ha trovato «l’accostamento dello straordinario con l’ordinario», perché «abbiamo la necessità di vedere il mondo come un luogo dove una sensazione di meraviglia si unisce a una sensazione di accoglienza. Abbiamo bisogno di sperimentare la felicità in questo paese delle meraviglie, senza tuttavia mai sentirci semplicemente a nostro agio. È questo il merito della fede in cui credo, e a cui dedicherò la maggior parte delle pagine che seguono» (pag. 11 e 12). In un’altra occasione, Chesterton scriveva che la Chiesa è «il luogo dove tutte le verità del mondo si danno appuntamento» (Perché sono cattolico, pag.17).
Don Giussani mi ha fatto amare la Chiesa, quando mi era totalmente sconosciuta nei suoi termini reali. Chesterton mi ha confermato in questo amore, che costituisce anche un atteggiamento sorprendente in questo mondo così conformista e che, per far sembrare di non esserlo, è costretto a dire solo “pazzie”. Non mi rimane che ringraziare.
E in effetti, non mi rimane che ringraziare il Signore per avermi fatto incontrare il gigante (per me santo) don Giussani che mi ha portato a incontrare Cristo e la Sua Chiesa e che mi ha introdotto in una compagnia che mi ha sorretto ed entusiasmato negli ultimi sessanta anni. Questa compagnia mi ha accompagnato, mi ha corretto all’occorrenza, mi ha dato continui spunti per “non stare mai tranquillo” e per vivere una vita fortunata, divertente e, per certi versi, avventurosa. Questa “compagnia” è stata la modalità con cui la Chiesa mi è stata vicina e amica. E attraverso questa compagnia ho avuto il modo, provvidenzialmente credo, di incontrare anche Chesterton, che ha avuto la funzione di confermarmi in tutti gli aspetti positivi che la vita della compagnia mi indicava. Grazie a Dio, dunque!
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