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Chen è negli Stati Uniti e si riposerà «per la prima volta in sette anni»
Chen Guangcheng è arrivato negli Stati Uniti lo scorso sabato pomeriggio, insieme alla moglie e ai due figli, finalmente sorridente e sereno. Ha così completato la sua fuga cominciata alla fine dello scorso aprile, quando è scappato da casa sua dove il regime comunista cinese, dopo averlo incarcerato ingiustamente per quasi 5 anni, l’ha segregato per 19 mesi. «Uguaglianza e giustizia non hanno frontiere» ha dichiarato alla stampa davanti agli alloggi della New York University, dove l’avvocato cieco completerà gli studi di legge su invito dell’istituto universitario. «La calma con cui il governo cinese ha gestito la situazione mi fa sentire appagato, spero che le autorità continueranno a concedere spazi di aperture e a guadagnarsi il rispetto e la fiducia della gente», ha poi aggiunto.
In occhiali neri e stampelle per la rottura del piede durante la fuga, il dissidente cieco ha ringraziato «l’Ambasciata americana per l’assistenza e il governo cinese per la promessa che i miei diritti di cittadino verrano rispettati sul lungo periodo. Credo che la promessa del governo centrale sia sincera, non ho motivo di dubitare che mi stiano mentendo». Gli attivisti temono che questo viaggio sia in realtà un esilio e che nonostante Chen abbia detto di voler «tornare in Cina dopo aver riposato il corpo e lo spirito, visto che non passo un giorno di riposo da sette anni», il govenro non lo faccia tornare in patria per spegnere la sua voce, che si è sempre battuta contro la pratica degli aborti forzati.
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Il timore è concreto visto che in patria i giornali del Partito comunista cinese lo denigrano e cercano di far cadere nell’oblio tutto quello che ha fatto per la Cina. E visto il grande pericolo che corrono i suoi familiari, ancora in Cina. Il governo ha assicurato che non perseguiterà il fratello e gli altri membri della famiglia ma in una video-testimonianza diffusa venerdì scorso Chen Guangfu, fratello maggiore di Chen Guangcheng, racconta i dettagli dell’interrogatorio e delle torture a cui è stato sottoposto subito dopo la fuga del dissidente. Inoltre, il nipote Chen Kegui è in prigione condannato di omicidio volontario nonostante non abbia ucciso nessuno.
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