Trump che rovina cose
Che schifo, Ivanka Trump mi ha sfiorato
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Tutti i democratici combattenti della Resistenza internazionale antitrumpista sanno ormai che è legittimo, se non obbligatorio, disprezzare le donne di Trump in quanto donne e in quanto di Trump. Se poi l’occasione è un raduno di donne che esaltano le donne in quanto donne, anche meglio (non c’è contraddizione che tenga, quando si tratta di bastonare Trump).
Un doveroso tributo va dunque all’edizione odierna di Repubblica che non riesce a trattenere un conato di vomito nel raccontare il convegno del «G20 delle donne» tenutosi ieri a Berlino, con ospiti d’onore la cancelliera Merkel e la direttrice del Fmi Christine Lagarde, al quale ha avuto la faccia tosta di partecipare anche quella sciacquetta di Ivanka Trump, figlia di cotanto padre, nonché consigliera preferita di cotanto dittatore degli Stati Uniti.
L’incipit dell’articolo di Tonia Mastrobuoni dice già tutto:
«Quando Ivanka Trump allunga un braccio e la sfiora, Christine Lagarde si ritrae con garbo e incrocia le braccia; quasi a segnalare la differenza antropologica tra la figlia del bancarottiere diventato presidente e la direttrice del Fondo monetario internazionale».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Di per sé, questo sarebbe sufficiente per appagare il nostro sessismo a fin di bene. Ma vale la pena di continuare la lettura perché tutto il pezzo è pieno di apprezzamenti da manuale dell’eguaglianza. Ivanka per Repubblica è «invitata per meriti dinastici» (e non appare fuori luogo in proposito ironizzare sulla presenza contemporanea della regina d’Olanda che serviva «forse per evitare tout court l’argomento meritocrazia»). Ivanka pronuncia «molte frasi che sembrano mandate a memoria». Ivanka suscita «mugugni dalla platea» e «risate sarcastiche» e «fischi qua e là» e «molti sbadigli, anche». Ivanka «riesce ad essere di una vaghezza affascinante». Laddove di solito, invece, nei «G20 delle donne» si susseguono interventi al cardiopalma.
Probabilmente il ribrezzo provato da Lagarde e da Repubblica per la sola presenza della Trumpetta fa parte a sua volta della «forbice (culturale ed emotiva prima ancora che politica) tra città e campagna» che affligge questo mondo. Del resto lo scrive chiaramente Michele Serra in prima pagina: «A Parigi, Le Pen è quasi inesistente: non arriva al 5 per cento dei voti. Come Trump a New York». Insomma, «se dipendesse dalle loro capitali e dalle loro metropoli» – che sono «cosmopolite e multiculturali, sono laiche e di liberi costumi» a differenza delle loro campagne così medievali e buzzurre e cattive – «non una delle nazioni di Occidente sarebbe non dico governata, ma minimamente influenzata dalla destra sovranista e dai “nuovi” populismi antieuropeisti e antimondialisti». Se votasse solo la gente perbene, l’America sarebbe ancora un paese democratico.
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