Che orrore farci distrarre dalle beghe e non afferrare il messaggio dell’Anno santo
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Boris si è arrabbiato con me e in generale con i presunti cattolici. Mi ha fatto questo discorso. «Avete avuto l’Anno santo della Misericordia, e invece di guardare alla verità di questa misericordia e ringraziare il vostro Papa, vi siete persi nel guardare se questa iniziativa ha avuto successo e se questo Pontificato sia popolare e se la popolarità sia positiva o negativa. Io mi sarei tuffato nelle porte sante aperte, perché non sono un simbolo vacuo, una metafora da letterati, ma si spalancano sull’abisso dell’Amore. Ora sono chiuse, il tempo speciale è finito. Ma la realtà rimane quella che il Giubileo ha rivelato: non siamo soli, Dio non solo esiste, ma è qui!».
Boris, pur se ortodosso e russo, si è gettato oltre quelle porte, perché nella frammentazione e nella liquefazione almeno qualcosa di largo ed intero, con tutte le sue miserie c’è, ed è la Chiesa-mistero.
Mi rendo conto che questa puntata della rubrica Boris Godunov è anomala. Ma va così. Insopportabile è la distanza ormai tra i lettori del papato e la semplicità dei gesti che Francesco propone. Ovvio: c’è libertà di opinione, persino di critica, anche da parte dell’ultimo dei battezzati, che ha diritto a un rapporto con Pietro diretto e immediato. E Pietro – che ha tradito tre volte – si inchina al lamento dei suoi, quando è sofferto e anche quando è petulante. Ma come è orribile lasciarsi distrarre da queste beghe e non versarsi tutto nel centro della questione.
Boris mi ha confessato di essere stato folgorato da una frase di Francesco. Elementare e potentissima. Essa è la confessione di Pietro ed è la sola invocazione sincera e seria e comprensiva della galassia e oltre, che oggi sia decente e degna.
«Signore, io sono un peccatore, vieni con la tua misericordia!». Questo è il messaggio dell’Anno santo, che è la dichiarazione di umiltà del Papa che si fa qui uguale al peggiore assassino, che sono io, il quale può ripetere queste parole insieme al più grande santo, senza sbagliare.
C’è un’altra frase che vale oltre l’Anno santo, oltre la nostra breve vicenda, e durerà per tutti i papati. È la stessa che Boris udì da una ragazza alcuni decenni fa e che cambiò la sua vita. Proprio uguale. Genio del cristianesimo: sono cose che ascendono all’Everest della filosofia, e trovano dei bambini che erano già arrivati lì senza usare sherpa o algoritmi teologici: «La misericordia di Dio è più grande del più grande peccato» (Papa Francesco, ma anche quell’amica minuscola con un paltò a quadri scozzesi di nome Sonia o Claudia).
Ripensava, Boris, alla canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta proprio in questo anno giubilare, come suo culmine. Ha vissuto tempi di buio durati cinquant’anni. Il Signore si era mostrato e l’aveva chiamata. Poi lo Sposo era andato via. E Teresa, come Maria dopo l’annuncio dell’Angelo, non ha avuto segni, carezze, ma spade nel cuore. Il buio del nostro tempo e delle nostre anime non abbiamo il diritto di confonderlo con il nulla. Non vediamo ma toccare, desiderare, questo possiamo eccome. Il buio non è mai un alibi per non riconoscere quello che è accaduto e per non lasciarsi amare e amare a nostra volta.
A proposito o forse a sproposito e tanto per passare a questioni più pratiche che affannano la vita dei teologi ecologisti: sto cercando chiese, parrocchie e santuari dove l’Eucarestia sia davvero, ma con certificazioni pontificie e di Al Gore, senza olio di palma. Bisogna essere o no attenti ai segni dei tempi?
Foto Ansa
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