Che cosa salva dal suicidio noi “mungitori della lira” sul Frecciarossa delle 6
Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Molti anni fa Renato Farina sul Sabato usò un’espressione che mi è sempre rimasta in mente. Disse: «Mungere la lira». Parlava del lavoro, e della fatica di portare a casa i soldi necessari a fine mese. “Mungere la lira” rende perfettamente l’idea perché mungere è faticoso, provate. Io una volta ho munto e vi assicuro che dopo cinque minuti hai le braccia che ti cadono (l’introduzione dei mungitori automatici deve avere avuto sulla vita dei contadini lo stesso effetto che l’invenzione della lavatrice ha avuto sulla vita delle casalinghe).
“Mungere la lira” è faticoso e me ne accorgo ogni volta che prendo il Frecciarossa delle 6 per Roma e poi quello delle 20 per Milano. In quel vagone Economy siamo tutti mungitori. Lo vedi dalle facce stanche, che possono essere anche incastonate in completi gessato blu e cravatte Marinella, ma sono sempre facce da mungitori. Perché lavorare, con l’ansia di non portare a casa il necessario, è faticoso come mungere una mucca: stringi, stringi e magari viene fuori solo un litro di latte, e tu non sai perché.
Ce la metti tutta, ti svegli alle 4, ti vesti come un Chief Executive Officer very cool, prendi il treno alle 6 e magari alle 8 prendi quello di ritorno con niente tra le mani.
Che cos’è che salva dal suicidio noi mungitori? Li guardo, osservo quello di fianco a me, che dorme con la testa appoggiata sul petto, e penso che sì, è vero: non deve credere di essere determinato dall’esito di quel viaggio: lui ha un valore che supera l’esito di quel viaggio. Ma resta il fatto che l’esito è importante. Se mungi un litro di latte o dieci, la differenza c’è.
Penso che la cosa che salvi dal suicidio è la consapevolezza che quel viaggio è buono in sé, anche se torni a tasche vuote. È quello che fai qui e ora che vale. Adesso.
Il fatto di essere sul treno, a dormire stanco, ha valore in sé. È buono in sé. È giusto in sé. Non è dipendente dall’esito, perché il gesto che si compie in un determinato momento ha valore per il fatto stesso che è compiuto. Perché lo hai potuto compiere. L’hai fatto e lo fai. È bello in sé. In questo senso, credo, l’esito viene dopo. Buona mungitura a tutti.
Foto pxhere.com
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