Domenica scorsa è morto in un ospedale di New York l’ex ambasciatore a Roma Reginald Bartholomew. Oggi sulla Stampa, a firma del corrispondente da New York Maurizio Molinari, appare un articolo con un’intervista allo stesso Bartholomew. Molinari spiega di aver raccolto le sue parole il mese scorso e di averle custodite in attesa di pubblicarle in una prossima inchiesta sugli anni di Tangentopoli. Di seguito pubblichiamo uno stralcio dell’articolo e una dichiarazione resa da Antonio Di Pietro, interrogato oggi dai giornalisti a proposito delle parole dell’ex ambasciatore.
«Ma soprattutto quella era la stagione di Mani Pulite – dice Bartholomew -, un pool di magistrati di Milano che nell’intento di combattere la corruzione politica dilagante era andato ben oltre, violando sistematicamente i diritti di difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si sente legato». Indagini giudiziarie, arresti di politici «presero subito il sopravvento sul resto del lavoro, perché la classe politica si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità di un alleato strategico nel bel mezzo del Mediterraneo», ed è in questa cornice che Bartholomew si accorge che qualcosa nel Consolato a Milano «non quadrava».
Se fino a quel momento il predecessore Peter Secchia aveva consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite, «d’ora in avanti tutto ciò con me cessò», riportando le decisioni in Via Veneto.
Fra le iniziative che Bartholomew prese ci fu «quella di far venire a Villa Taverna il giudice della Corte Suprema Antonino Scalia, sfruttando una sua visita in Italia, per fargli incontrare sette importanti giudici italiani e spingerli a confrontarsi con la violazione dei diritti di difesa da parte di Mani Pulite». Bartholomew non fa i nomi dei giudici italiani presenti a quell’incontro nella residenza romana, ma ricorda bene che «nessuno obiettò quando Scalia disse che il comportamento di Mani Pulite con la detenzione preventiva violava i diritti basilari degli imputati», andando contro «i principi cardine del diritto anglosassone».
Pochi mesi più tardi, nel luglio del 1994, il presidente Clinton arriva in Italia per partecipare al summit del G7 che il governo del neopremier Silvio Berlusconi ospita a Napoli. In coincidenza con i lavori, Mani Pulite recapita al presidente del Consiglio un avviso di garanzia e la reazione di Bartholomew è molto aspra. «Si trattò di un’offesa al presidente degli Stati Uniti, perché era al vertice e il pool di Mani Pulite aveva deciso di sfruttarlo per aumentare l’impatto della sua iniziativa giudiziaria contro Berlusconi», sottolinea l’ex ambasciatore, aggiungendo: «gliela feci pagare a Mani Pulite».
Dichiarazione resa oggi da Antonio Pietro:
«Queste cose dette da una persona che non c’è mi spingono a dire “pace all’anima sua” altrimenti l’avremmo chiamato immediatamente a rispondere delle sue affermazioni per dirci “chi, come, dove e quando”. Io non ho mai incontrato questo Bartholemew, invece so che gli Stati Uniti all’epoca furono molto collaborativi per quanto riguarda le rogatorie che noi effettuammo. Vent’anni dopo una persona fa delle affermazioni in relazione a comportamenti che lo stesso suo Paese ha fatto in modo totalmente diverso, mi sembra una cosa che non abbia né capo né piedi. Bartholemew è una persona che vuole sconfessare se stesso e il suo Paese e quindi non fa onore al suo Paese, ma ripeto non c’è più quindi pace all’anima sua».