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Centrafrica, le forze di pace portano l’abito del Carmelo

Migliaia di persone alla Fiera agricola di Bozoum. Qui, nel paese insanguinato dai ribelli e presidiato dall'Onu, frati forti come mattoni hanno trasformato un fazzoletto di terra in un cantiere di speranza

Caterina Giojelli
31/01/2020 - 1:00
Esteri
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Foto da bozoum.blogspot.com

«Ci sono circa cinquanta morti. Alcuni corpi sono stati immediatamente sepolti dalle famiglie, rendendo quindi difficile dare una cifra precisa delle vittime». Così il prefetto del dipartimento dell’Alta Kotto, Evariste Binguinidji, appena arrivato a Bria, la città dei diamanti ora presidiata dai caschi blu della Missione delle Nazioni Unite in Repubblica Centrafricana, Minusca. È qui, nella città contesa tra miliziani e gruppi ribelli usciti dal Fronte popolare per il Rinascimento della Repubblica Centrafricana (FPRC) o affiliati Movimento dei liberatori per la giustizia centrafricano (MLCJ), che il 26 gennaio scorso gli scontri tra membri dell’etnia rounga da un lato, e guola e kara dall’altro, hanno provocato la morte di dozzine di persone.

OSTAGGIO DI BANDE, ETNIE, MERCENARI

La coesistenza tra etnie sta diventando impossibile: i goula controllano le miniere nei dintorni di Bria, i rounga la rivendita dei diamanti in città stabilendo solide reti con acquirenti stranieri. Più di due terzi dell’ex colonia francese si trovano attualmente nelle mani di gruppi armati, che rivendicano affiliazioni etniche o religiose combattendo per il controllo delle risorse minerarie. Più di un quarto della popolazione centrafricana è fuggita dalle proprie case dall’inizio del conflitto civile nel 2013: da quando cioè i Seleka, i mercenari islamisti provenienti da Ciad e Sudan, hanno preso il paese con un colpo di Stato e che, dopo essere stati cacciati, non se ne sono mai andati davvero.

L’ACCORDO DI PACE, I MORTI, GLI SFOLLATI

Quelle di Bria sono solo le ultime vittime dell’instabilità feroce che pervade il Centrafrica nonostante l’Onu, il governo, nonostante l’accordo di pace siglato a Khartoum, il 6 febbraio 2019, dal governo di Bangui con i 14 gruppi ribelli. «Nel complesso, la firma dell’accordo ha comportato una riduzione della violenza», ha detto a Le Monde Vladimir Monteiro, portavoce della Minusca. «Anche se abbiamo ancora assistito a picchi di violazioni estremamente gravi». Picchi che hanno portato a 690.000 il numero di sfollati registrati nel 2019, 40.000 in più rispetto all’anno precedente. L’accordo prevede una serie di misure di rafforzamento della sicurezza, tra cui l’istituzione di pattugliamenti congiunti, il reinserimento dei combattenti, la maggior parte dei quali chiede di essere integrata nelle Forze armate centrafricane (FACA) o all’interno delle Unità speciali di sicurezza congiunta (USMS), la creazione di una commissione per la verità e la giustizia e la formazione di un governo “inclusivo”. Eppure la comunità internazionale, che pure sta finanziando numerosi progetti umanitari e di sviluppo in tutto il paese, si trova ogni giorno a contare il numero di morti, attacchi e massacri.

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NELLA ROCCA DELLA SPERANZA

Non i morti ma i camion che provengono da città lontane oltre duecento chilometri contano invece i missionari carmelitani scalzi, nel nord-ovest del paese, dove il telefono non prende, la posta non esiste e non ci sono strutture o edifici governativi. Dove tra strade dissestate, baobab e ruderi di guerra gli uomini della Chiesa hanno potuto fare più di qualunque accordo di pace: fare sviluppo, economico e umano. È questo che ha raccontato la sedicesima edizione della Fiera Agricola di Bozoum, un evento unico in tutto il paese organizzato dalla Caritas che attira ministri vescovi, ong ma soprattutto il popolo orgoglioso di lavorare la terra: «120 cooperative presenti e tutta la città di Bozoum in festa per tre giorni», scrive padre Aurelio Gazzera sul “diario di bordo” della fiera che si è svolta dal 24 al 26 gennaio. Tempi vi ha raccontato molte volte la storia di padre Norberto e i suoi fratelli (qui il reportage dal Centrafrica), dei suoi «frati forti come mattoni» che ostinatamente hanno trasformato un enorme fazzoletto di terra in un cantiere di speranza per il paese.

I TRE GIORNI DI FIERA E FESTA A BOZOUM

Mentre Bria veniva dilaniata dagli scontri, a Bozoum, dove i carmelitani sono riusciti a convincere i ribelli Seleka che razziavano, depredavano, uccidevano e torturavano i cristiani ad andarsene, migliaia di uomini e donne mostravano il frutto di durissimi mesi di lavoro, centinaia di sacchi di manioca, arachidi, riso, sesamo, mais, miglio, insalata, carote, cavoli, e decine di semi diversi. Il secondo giorno il numero di sacchi era sceso di molto: è un buon segno, vuol dire che le vendite stanno andando bene, hanno pensato subito i missionari, prima di iniziare la lunga giornata di visite alle risaie con ministri e delegazioni, mostrare loro gli “orti di Bozoum”, capolavori di bellezza e precisione, e di chiudere, il giorno dopo, la grande fiera con la messa, le premiazioni diplomi e medaglie a persone, cooperative e alunni del liceo St Augustin, che con pazienza hanno tenuto traccia di ogni dato e vendita di prodotto.

I “DIAMANTI” DEI MISSIONARI

In capo a poche ore, degli oltre 3.600 sacchi di merce scaricate da tutti quei camion non è rimasto più niente: «E lunedì mattina, mentre facciamo il conteggio delle vendite, rimaniamo stravolti dal successo di quest’edizione: il doppio dell’anno scorso!». Le vendite hanno superano i 90 milioni di franchi cfa, oltre 150.000 euro in frutti della terra, preziosi come diamanti.

Tags: aurelio gazzerabozoumbriacarmelitaniSeleka
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