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Centrafrica, le violenze non risparmiano più neanche la capitale Bangui

Un'operazione delle forze Onu per arrestare un criminale nel quartiere musulmano, il Km 5, rischia di innescare nuove tensioni religiose. Le milizie islamiste si riuniscono: «Potremmo invadere la capitale»

Leone Grotti
21/04/2018 - 3:00
Esteri
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Non c’è città del Centrafrica dove nell’ultimo non siano ripresi scontri, violenze e vessazioni verso la popolazione. Bangassou, Bria, Kaga Bandoro, Bocaranga, Bambari: tutte sono state stravolte dalla lotta fra bande che dilania il paese. Le milizie armate controllano di fatto la stragrande maggioranza del territorio e lo Stato comanda, quando va bene, solo a Bangui. Ed è proprio la capitale, uno dei pochi luoghi risparmiati nell’ultimo anno dalle violenze, che si è infiammata improvvisamente nelle ultime settimane.
IL KM 5. I guai, come sempre, sono cominciati nel Km 5. Questo non è appena il “quartiere musulmano” della capitale, quello dove tutte le persone di fede islamica si sono rifugiate quando la guerra civile è entrata in una nuova fase. Quando le milizie islamiche Seleka, che avevano effettuato un colpo di Stato nel 2013 perseguitando i cristiani, sono state cacciate nel 2014, i ribelli animisti che si erano a loro volta costituiti in milizie per difendere la popolazione, gli anti-balaka, hanno cominciato a dare la caccia in modo indiscriminato ai musulmani. Il Km 5, il quartiere dove si sono rifugiati tutti i musulmani, è però anche il polmone economico della capitale, un dedalo di vie straripante di vita e di negozi coloratissimi, brulicante di commerci e speranza.

 MAFIA IN CENTRAFRICA. Anche quando nel paese è tornata la pace, grazie all’intervento fondamentale dell’arcivescovo della città, il cardinale Dieudonné Nzapalainga, e di papa Francesco, il Km 5 si è spesso confermato off-limits per i cristiani. E viceversa. Èd è proprio lì che dieci giorni fa i soldati della missione Onu (Minusca) sono entrati in forze, insieme al debole esercito centrafricano, per arrestare il capo di una milizia chiamato “Generale Force”. Sono gli stessi commercianti musulmani del Km 5 ad aver richiesto l’intervento delle forze armate. Nel 2014, infatti, per difendersi dagli anti-balaka, i commercianti avevano ingaggiato dei banditi che hanno presto imparato a comportarsi come mafiosi: ogni commerciante deve versare ogni mese un pizzo tra i 5 mila e i 10 mila franchi centrafricani (8-15 euro, moltissimo in un paese dove si vive con un euro al giorno), mentre ogni camion di merce che viene caricato o scaricato deve versare tra i 25 mila e i 50 mila franchi (40-80 euro). Stufi della situazione, a febbraio è stato chiesto l’intervento della Minusca, che ha agito l’8 aprile.

«SPARI INCESSANTI E SPAVENTOSI». «Nella notte fra sabato e domenica abbiamo sentito spari incessanti e spaventosi, non abbiamo potuto chiudere occhio», racconta padre Federico Trinchero, carmelitano che vive con i confratelli in un monastero non molto lontano dal Km 5 e che negli anni della guerra ha accolto migliaia e migliaia di rifugiati. «I soldati non sono riusciti a catturare il “Generale Force”, ci sono stati dei morti e poi la situazione è degenerata». Molti musulmani del quartiere, al pari di altre persone che vivono nelle vicinanze, sono scappati. Qualche sfollato si è rifugiato al Carmel e anche se la situazione si è normalizzata, la tensione rimane: «Per il momento, evitiamo di passare dal Km 5», ammette.
UN ASPETTO POSITIVO. L’operazione, continua parlando a tempi.it, «è da vedere in modo positivo, anche se poi è sfuggita di mano, perché finalmente lo Stato cerca di far rispettare la legge, cosa che non accade più da anni ormai». Purtroppo, molti residenti del quartiere hanno interpretato l’iniziativa come un tentativo di attaccare i cittadini di religione musulmana: «Perché hanno colpito il mio negozio?», si lamenta un esercente del Km 5. «Purtroppo è diventato un problema di religione». Non è così, ma il confine tra scontro settario e politico, a queste latitudini, è molto sottile.
«POTREMMO INVADERE BANGUI». Prendendo a pretesto l’operazione di sicurezza, due gruppi armati islamisti nati dalla dissoluzione della coalizione Seleka, e che ancora fanno il bello e il cattivo tempo in molte città della provincia centrafricana, il Mpc e il Fprc, si sono riuniti il 13 aprile a Kaga Bandoro «per stringere un’alleanza militare»: «Non escludiamo neanche di invadere Bangui», hanno dichiarato. L’Upc , un’altra milizia potente e sanguinaria, ha dichiarato che potrebbe unirsi alle altre due ma «prima dobbiamo capire quali sono le loro reali intenzioni».
La Minusca è preoccupata dall’aumentare della tensione, al pari di padre Trinchero: «I focolai di violenza che si accendono dappertutto scoraggiano la popolazione. Sembra uno stillicidio dal quale è impossibile uscire. Ma bisogna guardare anche il lato positivo: il governo sembra finalmente intenzionato a far rispettare la legge». In un Paese ricchissimo di risorse naturali, ma dilaniato dalla guerra, è già un passo avanti.

@LeoneGrotti


Foto Ansa

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Tags: banguiCristianiminuscapadre federico trincheroSeleka
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