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Cinquant’anni di missione in Centrafrica, tra fallimenti e miracoli (veri)

La missione dei Carmelitani scalzi in Centrafrica ha compiuto cinquant’anni. Le storie incredibili dei primi quattro frati che, seguendo il desiderio di santa Teresa d'Avila, diedero «mille volte la propria vita pur di salvare anche solo un’anima»

Federico Trinchero
08/01/2022 - 6:15
Chiesa
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Frati carmelitani scalzi a Bozoum, in Centrafrica
I frati Carmelitani scalzi di Bozoum (al centro, Federico Trinchero) davanti al Carmelo con la gigantografia dei primi missionari arrivati in Centrafrica il 16 dicembre 1971

La missione dei frati Carmelitani scalzi in Centrafrica ha compiuto cinquant’anni. I primi quattro missionari – padre Agostino Mazzocchi, padre Niccolò Ellena, padre Marco Conte e padre Carlo Cencio – arrivarono a Bozoum il 16 Dicembre 1971. Fu il timido e discreto inizio della nostra missione e, in un certo senso, un nuovo capitolo di una storia iniziata secoli prima.

Le missioni in Africa erano un grande desiderio di santa Teresa d’Avila. Poco prima della sua morte, cinque missionari carmelitani scalzi partirono da Lisbona diretti verso le coste del Congo. Purtroppo, a causa di una tempesta, la spedizione fece naufragio e tutti e cinque i missionari morirono nelle acque dell’oceano. L’anno seguente, una seconda spedizione fu altrettanto sfortunata; questa volta furono dei corsari che attaccarono la nave a impedire ai missionari di raggiungere l’Africa. I cinque frati furono abbandonati sulle spiagge di Capo Verde: uno morì e gli altri riuscirono a tornare a Siviglia.

Nel 1584, al terzo tentativo, tre carmelitani riuscirono a stabilirsi finalmente in Congo. Purtroppo, alcuni anni dopo, la missione fu soppressa. Soltanto tre secoli più tardi, in epoca coloniale, il Carmelo riuscì a piantare le sue prime radici nell’Africa nera. I primi ad arrivare, però, non furono i frati, ma le monache, nel 1934 in Congo. In seguito, nel 1956, arrivarono in Congo anche i loro confratelli. E poi il Carmelo si diffuse in tutto il continente.

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La missione di Bozoum, in realtà, venne fondata dai padri spiritani francesi, gli evangelizzatori del Centrafrica, nel 1929. In seguito, negli anni Quaranta, arrivarono i cappuccini della Savoia e poi quelli di Genova. È grazie all’amicizia con quest’ultimi che, verso la fine degli anni Sessanta, nacque tra i frati carmelitani di Genova il forte desiderio di aprire una missione in Centrafrica. Nei secoli passati diversi frati di Genova erano stati inviati in missione in India, Persia e Siria. Ma ora i miei confratelli volevano una missione tutta per loro e, come la piccola Teresa, volevano percorrere la terra, annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, piantare la croce sul suolo infedele. E l’Africa, l’Africa nera, animava i loro sogni e i loro progetti più di ogni altro luogo.

Il padre Provinciale dell’epoca, Teodoro Brogi, fu il grande promotore dell’apertura della missione. Prima di lanciarsi nell’impresa, per la quale non mancarono gli ostacoli, fece un sondaggio per verificare quanti frati fossero effettivamente disposti a partire. Tutti i frati, eccetto uno, risposero affermativamente. Alcuni si dissero pronti a partire subito e senza condizioni, obbedienti alle parole della santa Madre Teresa che avrebbe dato «mille volte la propria vita pur di salvare anche solo un’anima». Tra questi padre Niccolò, padre Marco, padre Carlo e, in seguito, anche padre Agostino, dei carmelitani di Napoli.

Il 7 dicembre 1971 il cardinal Siri consegnò il crocifisso ai quattro partenti. Il 12 dicembre i padri missionari all’aeroporto di Nizza salirono sul Dc-8 che li portò a Fort-Lamy, in Ciad. E da qui, viaggiando ancora in aereo e poi in macchina, arrivarono finalmente a Bozoum dove, raccontano le cronache del 16 dicembre di quell’anno, «baciarono il suolo sul quale avrebbero sparso il sudore del loro lavoro apostolico» e iniziarono a imparare il sango, la lingua con la quale avrebbero annunciato il Vangelo.

Ma chi erano questi quattro uomini, dai caratteri e dalle storie alquanto differenti, che con eroica incoscienza – l’espressione è del padre Niccolò – diedero vita alla missione dei carmelitani scalzi in Centrafrica? Dei quattro missionari, padre Agostino di santa Teresa non era solo il più anziano, ma anche il più raffinato e quello dal profilo biografico indubbiamente più avventuroso. Nato a Milano nel 1904, studiò musica, medicina e legge. Dopo avere lavorato per dieci anni a Strasburgo, durante la seconda guerra mondiale divenne ufficiale militare in Libia. Venne subito fatto prigioniero in Egitto e poi trasferito ai piedi dell’Himalaya. Durante i sei anni di prigionia domandò il battesimo e s’immerse nella lettura di santa Teresa. Nel 1946, ormai libero, rientrò in Italia ed entrò nel convento dei Carmelitani di Napoli. Divenuto sacerdote, e dopo cinque anni di vita eremitica in Toscana, arrivò a Bozoum dove vi resterà per dieci anni.

Padre Niccolò di Gesù Maria, classe 1923, originario della Valle Varaita in provincia di Cuneo, entrò nell’Ordine giovanissimo. Dopo gli studi a Roma, nel 1952 partì come missionario per il Giappone dove lavorò per sette anni. Arrivato in Centrafrica nel 1971, vi resterà per ben 42 anni, la maggior parte dei quali trascorsi nella parrocchia di Bossemptelé, da lui stessa fondata. Padre Niccolò, scomparso nel 2019, era un missionario d’altri tempi; dei quattro, indubbiamente, il più simile ai primi evangelizzatori del Centrafrica. Di quasi ogni giorno trascorso in missione, padre Niccolò ha lasciato inoltre un prezioso e interessante diario.

Padre Marco dell’Incarnazione, nato a Verona nel 1925, entrò nell’Ordine in età adulta, dopo aver lavorato per anni come artigiano del vetro. Meticoloso, artista e dal carattere un po’ burbero, trascorse in Centrafrica circa dieci anni, lasciando una piccola chiesa in pietra nel villaggio di Karaza.

Padre Carlo del Cuore Immacolato, il più giovane e l’unico ancora vivente, dalle Langhe dove era nato nel 1937, arrivò nella savana con grande entusiasmo e determinazione. Il passaggio dalla lingua di Dante al sango, dai vigneti ai campi di manioca non fu facile. Ma, dopo solo due anni, fondò la parrocchia di Baoro, la nostra seconda missione, riuscendo a costruire la chiesa sognata da bambino. Poeta, scrittore, all’occorrenza agricoltore, anche se si è sempre definito un semplice tappabuchi, è stato in realtà un grande animatore della missione, lavorando soprattutto nei villaggi – dei quali ricorda ancora i nomi con i rispettivi catechisti – dove è passato scacciando demoni, guarendo malati e, così racconta, anche risuscitando i morti…

Nel corso degli anni la missione si è poi ingrandita (leggi il reportage di Tempi dal Centrafrica). Nello stesso tempo si sono dati il cambio tanti missionari (non solo italiani) i quali, ognuno con il proprio temperamento e le proprie doti, hanno continuato con uguale passione e dedizione l’opera iniziata dai primi quattro. Il 19 dicembre ci siamo ritrovati a Bozoum per rendere grazie a Dio, capace di fare grandi cose con noi piccoli uomini. La nostra gioia è stata grande non solo per la presenza dei tanti fedeli, ma anche per il dono di due nuovi sacerdoti: fra Martial e fra Jeannot-Marie.

Poi ci siamo trasferiti a Bouar, la missione dove ho vissuto i miei primi cinque anni di Africa, per una riunione di due giorni nella quale abbiamo potuto fare un bilancio di questi cinquant’anni e progettare i prossimi cinquanta in compagnia, ormai, di tanti giovani confratelli autoctoni. Trascorro Natale per la prima volta a Yolé con i nostri 75 seminaristi. Ogni venerdì di Avvento hanno consumato un pasto più sobrio per poter distribuire, il giorno della vigilia, il frutto dei loro sacrifici: riso, caffè, zucchero, caramelle e sapone per 250 poveri.

Poi a Messa i canti più belli, a tavola i piatti più buoni, attorno al fuoco le danze più lunghe perché il Re è tra noi. I nostri quattro primi missionari non avrebbero osato sognare tanto quando arrivarono cinquant’anni fa, proprio alla vigilia di Natale. Eppure è il loro coraggio che ha permesso la realizzazione del sogno.

Tags: Centrafricafederico trinchero
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